Isabella Sandri


“Un luogo arido e inospitale, dove l’acqua sta finendo e non cresce nulla. Una città di frontiera, senza radici, nata in mezzo al deserto attorno alle fabbriche e destinata a Maquilasscomparire. Del passato rimane la cattedrale e il treno merci, lo stesso assaltato dagli uomini di Pancho Villa ai tempi della rivoluzione. Oggi è il mezzo usato dai clandestini che tentano di arrivare negli Usa. I segni del presente sono le maquilas, i centri commerciali, le insegne di McDonald’s, burritos e Pollo Feliz. C’è un quartiere ricco, Campestre, abitato dai pochi industriali che lo preferiscono a El Paso. Ma il motore della città sono gli operai che vivono in baracche costruite con materiali di scarto. Gli altri sono parassiti”.
Potrebbe essere un racconto di James Ballard, lo scrittore della catastrofe, invece sono le memorie messicane di Isabella Sandri (Animali che attraversano la strada, La zattera di sabbia). Insieme a Beppe Gaudino (Giro di lune tra Terra e mare), la regista firma Maquilas, il documentario vincitore del Premio Cipputi a Torino 2004 che RaiTre trasmetterà il 16 dicembre alle 23.30.

Prodotto da Fabrizio Grosoli per Fandango e Legambiente, è una discesa negli inferi di Ciudad Juarez, la città ai confini del Texas devastata dall’inquinamento. Qui proliferano le Export Processing Zones e le maquilas, industrie di assemblaggio a capitale straniero. Juarez è anche la città dove, dal 1983 a oggi, sono scomparse centinaia di donne, quasi tutte operaie, uccise o mai ritrovate.

“Il capitale è intelligente. Va dove deve andare” dice un responsabile dell’Associazione delle Maquiladoras di Ciudad Juarez. Puoi spiegare cosa significa?
Si riferisce alla scelta di impiantare fabbriche dove gli operai costano poco, i sindacati quasi non esistono, non ci sono tasse di importazione o esportazione né sanzioni per chi abbandona rifiuti tossici. A Ciudad Juarez i lavoratori, sopportano tutto: 12 ore di lavoro in piedi, turni che cambiano di continuo, ritmi massacranti. Sono in balia del mercato ma tengono duro e cercano di assicurare ai figli un’istruzione sperando di non vederli mai diventare operai. Hanno un decoro e una dignità straordinarie ma il governo messicano lascia che vengano derubati. Del resto, il paese è indebitato fino al collo con la Banca Mondiale.

E’ stato difficile filmare nelle fabbriche?
Solo due delle 300 fabbriche di Ciudad Juarez hanno autorizzato una nostra visita.

MaquilasL’elemento forte del film è l’estetica del disastro con cui avete messo in scena la devastazione ambientale.

C’è un forte contrasto tra l’interno delle maquilas, perfettamente pulite e asettiche, e l’ambiente circostante. Volevamo che la percezione del degrado emergesse da ogni inquadratura, senza però usare il classico taglio del documentario sociale. Abbiamo lavorato soprattutto sui momenti di sospensione, quelli in cui gli eventi sembrano conclusi, ripresi spesso col grandangolo.

Tra i vostri compagni di viaggio a Juarez ci sono alcuni attivisti. Parlaci di loro.

Felix è un ambientalista, Adriana è una volontaria dell’associazione Centro de Investigacion y Solidaridad Obrera. Denuncia le malattie causate dalle sostanze tossiche rilasciate dalle fabbriche. Poi ci sono le Volpi, un gruppo di radioamatori di Anapra, il quartiere più povero di Juarez, che hanno dato vita ad una rete di solidarietà. Proteggono gli abitanti della zona dalle incursioni di bande criminali e polizia.

Vi occupate anche della strage delle donne di Juarez, già al centro del documentario “Señorita Extraviada” di Lourdes Portillo.
Il lavoro di Lourdes Portillo è stato fondamentale perché ha reso pubblica, a livello internazionale, la violenza sulle donne. In Maquilas tocchiamo i casi emblematici di Sagrado e Claudia, operaie come l’80% delle donne uccise. C’è un doppio legame tra la fabbrica e la violenza. Per molte donne, giovanissime e provenienti dal Sud del paese, le maquilas rappresentano una possibilità di emancipazione: sono dei luoghi sociali in cui incontrano altre donne e guadagnano del denaro. Spesso la loro autonomia non è tollerata in famiglia ed esplode la violenza. C’è di più: la fabbrica non fornisce nessuna tutela alle donne e le attiviste locali nutrono fortissimi sospetti sull’esistenza di una rete di connivenza tra gerenti delle maquilas e i criminali.

Mostrate anche il declino delle maquilas. Cosa accadrà a Juarez?
La città potrebbe scomparire insieme alle maquilas quando i capitali si sposteranno in Cina, dove la manodopera costa meno o quando si formeranno sindacati abbastanza forti da infastidire gli investitori stranieri.

MaquilasIl vostro viaggio si conclude in Chiapas. Perché?
Siamo andati lì per capire da dove vengono gli operai delle maquilas. In confronto a Juarez, il Chiapas è un paradiso ma le nuove generazioni non vogliono più fare i campesinos. Rinunciano alla tradizione attirati dal sogno dei supermercati, dell’automobile e della casa di cemento.

Cosa cambia tra la versione passata a Torino e quella televisiva?
Abbiamo ridotto il film da 120 a 60 minuti togliendo pause e digressioni che la tv vieta. Restano soprattutto le voci degli operai, i problemi ambientali e quelli del lavoro. Anche la versione passata a Torino è stata ulteriormente limata.

Il prossimo progetto?
Lavoriamo ad un film sull’Afghanistan girato a Kabul e nei villaggi vicini tra maggio e giugno del 2003. Racconta il ritorno degli sfollati e i conflitti che genera. Lo produce Gaudri, la nostra società.

autore
14 Dicembre 2004

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