Brescia, marzo 2020. Una videocamera accede, in via eccezionale, ai reparti dell’ospedale pubblico di una delle città che sta drammaticamente soffrendo il primo picco pandemico del Covid-19. È un delicato esercizio di osservazione, che coglie con rispetto l’instaurarsi di nuove relazioni tra pazienti e personale sanitario, rese necessarie dalla pandemia e che mostrano un estremo bisogno comune, il calore umano. Dolorosamente, il film entra in empatia con le paure dei malati e con l’ascolto professionale ma accurato di medici e infermieri, rimanendo in una dimensione intima e delicata. Passa al Biografilm Io resto di Michele Aiello, dopo la presentazione nella sezione Grande Angle del 52° Visions du Réel di Nyon. E’ accecante il bianco delle corsie e delle camere di ospedale, ma quando le luci si spengono, rappresenta la fine dei una vita, in questo caso quella di Tania, avvolta in un sacco dagli infermieri che l’hanno seguita. Il film però si conclude con una guarigione, non volendo soffermarsi su una visione unicamente pessimistica.
“Quando l’abbiamo girato pensavo che potesse essere utile per dopo – ha detto il regista in un’intervista – per far vedere alla gente come sono stati quei primi giorni, e penso che sia ancora valido come ragionamento anche un anno dopo. E dal momento che il film contiene momenti di calma e leggerezza, non è una visione particolarmente pesante”.
E ci si accorge di come la percezione della pandemia che avevamo un anno fa sia diversa rispetto a quella che abbiamo oggi, certamente non meno carica di spavento e preoccupazione, ma con l’acquisizione di strumenti per la gestione che fino a poco fa non era nemmeno immaginabile.
“Era il periodo in cui tutto era fermo – racconta il regista delle riprese – Ci siamo dovuti adattare, anche perché dovevamo stare sempre all’erta in caso succedesse qualcosa. Per motivi legati alla professione i medici e gli infermieri non potevano avvisarci, dovevamo essere noi a fare attenzione a quello che stava accadendo all’interno dell’ospedale”.
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