“Io sono Ingrid, questa è la mia storia … Ho sempre conservato tutto, così i miei ricordi saranno sempre con me … Ho sempre la cinepresa a portata di mano … Io filmo il mondo”, racconta la viva voce della Bergman, tra documenti audio originali e una voce narrante che ne assume le sembianze, costantemente in prima persona. Io sono Ingrid è un documentario, “un film basato sui filmati amatoriali di Ingrid Bergman” che ha sempre avuto la passione per la registrazione dei ricordi, in forma audiovisiva, spesso, ma anche cartacea, con gli scatti delle fotografie e la scrittura del suo “dagboken”, il diario. La prassi di filmare la vita quotidiana – soprattutto gli istanti famigliari, la quotidianità dei suoi bambini, i momenti del set in cui non recitava e poteva così riprendere il resto della macchina produttiva all’opera, le passeggiate intime con Roberto Rossellini a Stromboli … – praticata con l’intento di trattenere ogni ricordo, è ciò che rende questo documentario unico rispetto al genere, perché realizzato come inconsapevole autobiografia dalla Bergman stessa che, non avendo l’intenzione di fare un uso cinematografico dei suoi “video-racconti personali”, ha però fornito la materia prima per la nascita di una storia di vita che ha la peculiarità di occupare un confine narrativo molto particolare, tra biografia e autobiografia, concertate dal regista Stig Björkman, su suggerimento di Isabella, figlia di Ingrid.
Orfana di mamma a 3 anni, di padre – da cui ha ereditato la pratica e la passione della registrazione video – dodici anni più tardi, Ingrid la scopriamo essere stata timida, di certo, ma altrettanto avventurosa e eccezionalmente sorridente: “deliziosamente libera e divertente” la descrive Pia, la sua prima figlia (avuta con il neurochirurgo svedese Petter Lindström). “Credo di essermi salvata solo inventando i personaggi … Così sono diventata un’attrice”, dice Ingrid, tra la sua vera voce che si racconta nella lingua inglese acquisita, molto buona e dal suono sicuro, quasi duro, e quella di un’interprete che dà suono al suo carteggio letterario, il cui timbro artificiale pecca un po’ di un tono mellifluo che poco si prende con il timbro originale, di grande personalità invece, e che corrisponde a ciò che le sue immagini ci raccontano del suo profilo personale, non impreciso, niente affatto stucchevole.
Dalla Svezia, dove nel 1931 ricorda di aver fatto per la prima volta la comparsa in un film – esordisce poi nel 1935, sotto la direzione di G. Molander – passando poi alla firma di un contratto quinquennale con David O’Selznick, il mitico produttore di Via col vento, e poi ancora all’incontro con Hitchcock (Notorius, 1945), i tre Premi Oscar, il viaggio in Europa e sue cinque grandi storie d’amore – Petter Lindström; il fotografo Robert Capa; la passione durata il tempo di un film con il regista Fleming; la storia con Roberto Rossellini e “il ritorno in Svezia” con l’ultimo marito, un produttore teatrale svedese -: questa è la struttura portante di tutto il documentario, capace di stare anche in equilibrio con una collocazione storica precisa, presente in maniera dichiarata, ove necessario, nello svolgimento, soprattutto rispetto ad alcuni istanti del periodo della Seconda Guerra, concomitante con la sua affermazione artistica mondiale, per il talento espressivo concesso dall’armonia tra malinconia e gioia, che ne sono sempre state le peculiarità.
Questa “ragazza di Stoccolma, circondata dalle star del cinema”, che ha lasciato la scuola di teatro locale per “la libertà che sento davanti alla macchina da presa”, viene profilata in maniera completa e sfaccettata, oltre che dal materiale da lei “prodotto”, dal racconto vivo dei quattro figli – Pia, Isabella e Ingrid, Roberto -, della nipote italiana acquisita, Fiorella Mariani, di Sigourney Weaver e Liv Ullmann, che la ricordano – lei già un “mostro sacro” – come una persona e un’artista dal profilo cortese e “normale”, come anche emerge dal copioso dialogo letterario con le amiche più strette, in particolare quello con la moglie di Selznick, dove “le sue lettere parlavano solo dei bambini”. Lei era Ingrid.
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