Gregoretti, padre e figlio, tra pizze e tubo catodico

Prodotto da Enzo Porcelli per Achab Film, con la collaborazione di Rai Cinema, sarà distribuito in sala da Luce Cinecittà


In prima mondiale alla Festa del Cinema di Roma 2023 arriva il film inedito e postumo di uno dei grandi maestri della televisione e del cinema italiano, Ugo GregorettiIo, il tubo e le pizze, un progetto nato nel 2015 che, a causa di varie vicissitudini, e specie per le precarie condizioni di salute e poi la scomparsa di Ugo nel 2019, è stato portato a termine solo adesso. Ed è un film delizioso, un piccolo saggio di cinema (le pizze) e di televisione (il tubo catodico), ricco di empatia, come sempre nella cifra di questo grande artista e raccontatore, colto e ispirato ma al tempo stesso semplice e popolare.

Prodotto dalla Achab Film di Enzo Porcelli con Rai Cinema e distribuito da Luce Cinecittà che lo porterà nelle sale prossimamente, il film è un lascito visivo dell’intelligenza e ironia di un autore dallo stile unico, che ha rivoluzionato il linguaggio televisivo, in modi che sono tutt’oggi (e non sempre dichiaratamente) imitati ma restano forse inimitabili. C’era questa sua capacità unica di mescolare cinema, teatro, televisione e letteratura. Racconta il figlio Filippo, che compare nel film insieme alla moglie taiwanese Tai Hsuan Huang: “In un suo film del 1990 Maggio musicale con Malcolm McDowell, fintamente autobiografico, a un certo punto fa dire al protagonista ‘sono troppo cinematografico per essere televisivo, sono troppo teatrale per essere operistico’. Lui stesso era partito dalla televisione per approdare al cinema per poi tornare alla televisione, anche per motivi familiari. Continuava a spaziare. Era il suo modo di essere”.

“Tutto nasce – spiega ancora Filippo – da La storia sono io, il libro di papà sulla sua vita e la sua infanzia. Girò un promo in bianco e nero, sembrava un cinegiornale, ma aveva già più di 80 anni e si rese conto di non potercela fare. Così lo trasformò nella sua tipica chiave surreale. Hsuan ed io in giro per Villa Borghese che dialoghiamo con lui, questa è la cornice per tenere insieme i suoi vari reportage, servizi Rai degli anni ’60 realizzati per programmi come Controfagotto, quello con cui iniziò il filone ironico”. Oggi quei materiali preziosi, oltre che nelle Teche Rai, sono conservati al Centro Studi Ugo Gregoretti di Pontelandolfo e attualmente in fase di digitalizzazione presso l’Istituto Gramsci, che ha acquisito anche la biblioteca del cineasta.

Attraverso quei brevi filmati, Ugo, con il suo stile unico – paragonabile forse solo a quello di Nanni Loy, altro grande innovatore della televisione italiana – entra nelle storie grandi e piccole dell’Italia contemporanea mettendo sempre in scena anche se stesso. C’è un giovanissimo Rocco Siffredi e il miracolo di un’immagine di Cristo che compare su un portone, ci sono i toelettatori di vacche e c’è la visita a una fabbrica di condom.

Determinante, nel far ripartire il progetto, come racconta il produttore Enzo Porcelli, è stato il contributo di Luce Cinecittà. “Dopo la sua morte – spiega ancora Filippo, il più giovane dei cinque figli – siamo rimasti per un po’ bloccati, anche emotivamente. Poi c’è stato il Covid. Del suo archivio si era sempre occupato lui, che era un catalogatore quasi patologico, ha conservato tutto, dai contratti alle lettere private. A noi figli è toccato il compito di fare delle scelte”.

Scriveva Gregoretti nelle sue note di regia: ” La narrazione, si avvale del racconto-guida fatto da me stesso che, a Roma insieme a una coppia di giovani, ci porta attraverso gli episodi della mia vita professionale con le immagini di repertorio dei miei film e dei miei programmi televisivi. Loro sono il mio contraddittorio, gli evocatori dei miei racconti che, attraverso le loro piccole provocazioni, suscitano le mie reazioni creando delle situazioni divertenti”. Per lui era normale coinvolgere qualcuno della sua famiglia nei suoi lavori, racconta ancora Filippo. “Ho vissuto tanti anni all’estero e da quando sono tornato in Italia ci piaceva stare insieme e fare dei ‘viaggetti’. Lui amava farsi spingere su una sedia a rotelle. Hsuan era in Italia da neanche un anno e stava studiando l’italiano alla Dante Alighieri, così è sembrato naturale inserire questo elemento scherzoso nel film”.

La cifra di Gregoretti, come si diceva, era proprio questa, ironia lieve unita a profonda empatia. “Metteva tutti a proprio agio, sapeva vedere il bello, il poetico e il buffo in ciascuno, anche in se stesso. Sdrammatizzava tutto. Per noi figli è stata una lezione affettiva che ci portiamo dietro. Benché avesse avuto una vita difficile, per lui c’era sempre questo aspetto caldo, affettuoso e poetico che cerco di trasmettere a mio figlio”. E cosa avrebbe pensato dell’Intelligenza Artificiale, di cui oggi si parla tanto: “L’avrebbe presa in giro in modo affettuoso come faceva con me che mi occupo della convergenza tra arte, musica e tecnologia. Il mio lavoro per lui era una cosa oscura. C’è una foto di Cristina Santilli che riassume bene questo atteggiamento, lui con un mouse in mano e l’aria attonita. È intitolata Ugo e l’ignoto”.

Alla proiezione alla Casa del Cinema è presente anche Fausta Capece Minutolo, la vedova di Gregoretti, e gran parte della famiglia, mentre Enrico Bufalini rappresenta Luce Cinecittà.

Cristiana Paternò
24 Ottobre 2023

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