CANNES – Germania. New York. Tangeri. Atene. Siracusa. E ancora New York. 1939, 1969 (quello dello sbarco sulla luna, non a caso), 214 a.C. E ancora 1969. Non è il giro del mondo in ottanta giorni e qualche decennio, ma un’avventura intorno al globo in 2000 anni, che si compie in Indiana Jones e il Quadrante del Destino.
Cannes ospita l’anteprima mondiale dell’ultimo capitolo del franchise nato nel 1981, basato sulle avventure del dottor Henry Walton “Indiana” Jones, Jr., immaginario professore di archeologia: il primo film titolava I predatori dell’arca perduta, e con lui un interprete diventava e resterà Indiana Jones, ovvero Harrison Ford, oggi quasi 81 anni ma, tra tecnologia e sceneggiatura temporalmente realistica, non si scalfisce il fascino e il senso dell’avventura di un’icona.
“Io vorrei Indiana Jones vivesse per sempre. Certo, questo è stato tutto pianificato considerando la mia età avanzata: è stato bello essere giovane, a quest’ora potevo anche essere morto invece sono vivo e lavoro, non posso chiedere di più e per questo ero a disposizione per servire la sceneggiatura e gli altri attori, oltre alla passione di Mangold. Indiana Jones è stata la miglior fortuna della mia vita”, racconta a Cannes, che ospita l’anteprima mondiale del film, un Harrison Ford con lo sguardo lucido per l’emozione, forse un po’ per la malinconia, e in un film in cui il concetto del destino è molto presente, l’attore riflette pragmaticamente che “puoi essere anche un po’ malato ma molto conta lo spirito, così ci si può ricreare la vita: io amo lavorare e il personaggio mi ha sfamato la vita”. Pensiero a cui fa coda un’affermazione precisa di futuro artistico: “vorrei fare un’altra stagione di 1923”.
Nella storia di Indiana Jones e il Quadrante del Destino – un film sulla circolarità del tempo, sulla Storia, sul destino, storico e personale – il Professor Jones, l’archeologo, va in pensione ma… l’avventura non indossa il passo della terza età, tutt’altro: se infatti in una prima parte del film la scena è tutta di un Indy quaranta/cinquantenne, un “ritorno al passato” possibile grazie a una tecnologia di de-aging, che ha riportato sul viso dell’attore le fattezza realistiche dei primi tempi della saga, la storia diretta da Mangold mette in scena a tutti gli effetti, ma senza effetti – se non quelli speciali necessari a rendere suggestione e adrenalina dell’azione – un Ford ultrasessantenne, che ancora vitale nel corpo, ma soprattutto nello spirito appunto, cavalca l’epica del racconto, entrando e uscendo della Storia, guidato da un’arcaica macchina del tempo creata dal genio di Archimede, oggetto-motore della vicenda, perché ambito anche da un militare nazista, Jürgen Voller (Mads Mikkelsen).
Con l’Indy del tempo presente, sulla scena anche Phoebe Waller-Bridge, Helena, la sua figlioccia, una Indiana Jones al femminile: infatti, a pensarci, l’eredità dell’iconico personaggio, che mai si dovrà staccare dall’interprete primo, potrebbe semmai essere passata proprio a lei – capace e preparata, nella materia archeologica quanto nell’intelligenza emotiva – che lo affianca in questa avventura, che comincia sulla spinta del disagio che Jones prova quando il governo degli Stati Uniti recluta ex nazisti per aiutare a battere l’Unione Sovietica nella corsa allo spazio. Per l’eclettica artista – che nel film parla anche in greco antico -, e già interprete del gioiellino seriale Fleabag, questo progetto “è stato straordinario, tutta un’avventura, che parte da una sceneggiatura meravigliosa”. Parla di “timidezza, a ritrovarsi in un progetto così. Ma c’’è stata una troupe incredibile che desirava essere al servizio di questo progetto. Certo, è stata un’enorme responsabilità”.
Mentre Mads Mikkelsen, rispetto all’universo di Jones, ricorda di aver avuto “15 anni quando uscì il primo film, che mi ha appassionato subito. Tutti vogliono fare l’attore, io volevo essere Indiana Jones. Tutti lo amano perché è un personaggio charmant”.
Nel cast anche Ethann Isidore, Antonio Banderas e John Rhys-Davies, che riprende il ruolo di Sallah.
James Mangold – regista e co-sceneggiatore del film con Jez & John-Henry Butterworth e David Koepp, scritto basato sui personaggi creati da George Lucas e Philip Kaufman – che Ford definisce “il più generoso e disciplinato” degli autori con cui abbia lavorato, ammette: “ho esitato dapprima, la responsabilità era enorme. È impossibile compiacere tutto il mondo, ma avevo anche una crew leggendaria. Harrison Ford è un attore che cerca di assecondare sempre le richieste e quello che deve interpretare: il suo, è un invito artistico”.
Nel quinto viaggio di Indiana Jones c’è anche un po’ d’Italia: Siracusa, nel presente degli Anni ’60 – tra la città storica e il parco archeologico – e quella antica del visionario scienziato Archimede: se il cinema rende davvero possibile qualsiasi espressione dell’immaginazione, qui il sogno si conferma nell’impossibile, ma evidentemente immaginabile, incontro tra due miti, Indiana Jones e lo stesso matematico.
La colonna sonora è composta ancora una volta da John Williams, che ha firmato le musiche di ogni avventura di Indiana Jones, sin dall’originale dell’81; mentre Steven Spielberg e George Lucas sono i produttori esecutivi del film.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino esce al cinema dal 28 giugno.
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