Incubo a Central Park, il caso giudiziario in un doc


CANNES – Due ore fitte di testimonianze, immagini di repertorio, fotografie e video che ricostruiscono nel dettaglio una scioccante vicenda immersa nella New York del 1989, un momento in cui la città era assediata dalla criminalità. Oggi è arrivato fuori concorso al Festival di Cannes il documentario The Central Park Five, con cui Ken Burns, David McMahon e Sarah Burns rievocano il tragico fatto di cronaca che invase le prime pagine dei giornali americani alla fine degli anni ’80, quando cinque adolescenti di Harlem furono accusati e poi condannati per lo stupro e il tentato omicidio di quella che è rimasta famosa come la “jogger di Central Park“, una professionista bianca di 28 anni che stava correndo quando fu assalita e violentata, rimanendo poi in coma per un lungo periodo. Sullo schermo scorrono i volti di giornalisti, ex sindaci della Grande Mela, uno storico, i familiari. Ma soprattutto quelli di Kevin Richardson, Raymond Santana, Korey Wise e Yusef Salaam, mentre di Antron McCray – che non ha voluto mostrarsi per preservare la sua privacy – si ascolta solo la voce: raccontano la dolorosa odissea che li ha visti condannati a lunghi anni di carcere dopo una rapidissima caccia alle streghe nell’immediatezza dei fatti.

 

Erano poco più che ragazzini e hanno scontato pene dai 6 ai 13 anni per un delitto che non avevano commesso, ma che avevano “confessato”. Perché la città era in preda alla criminalità diffusa e alla paura, la polizia aveva bisogno di colpevoli da dare in pasto ai media e la questione razziale era tutt’altro che risolta. E cinque adolescenti neri venuti da Harlem, che poco prima “bulleggiavano” nel parco insieme ad altri, erano il bersaglio più facile. E così sono stati “indotti” a confessare un crimine che non avevano commesso, con la promessa che sarebbero stati liberati subito. “Questi ragazzi sono stati condannati molto prima del processo – ha detto la regista e sceneggiatrice Sarah Burns – da una città blindata dalla paura e, allo stesso modo, influenzata dalla razza”. I giornali urlavano il neologismo alla moda di questo gruppetto di bulli impegnati nel wilding urbano, insistevano sui dettagli morbosi del delitto, e non si accorgevano che le loro “confessioni” presentavano tantissime incongruenze. A partire da quelle scientifiche del Dna. Ma la polizia poteva fregiarsi di un orribile caso risolto in tempi rapidi. “Questo caso è una lente attraverso cui possiamo avere consapevolezza della persistente faglia razziale in America”. In quei giorni, addirittura, tornò in voga il discorso sull’opportunità di ripristinare la pena di morte anche per i minorenni. Ma “se lo stesso episodio – dice un intervistato nel film – fosse avvenuto in un quartiere malfamato ai danni di una ragazza nera, nessuno se ne sarebbe interessato più di tanto”.

Dopo anni di carcere i cinque ragazzi sono stati liberati e completamente scagionati grazie alla confessione del vero aggressore, uno “stupratore seriale” che ha incontrato uno di loro in carcere ed è stato assalito dal senso di colpa. La polizia, però, non ha ammesso i suoi errori. I “cinque di Central Park” si sono poi costituiti parte civile contro la città di New York, la polizia e i procuratori, ma finora la loro azione non ha avuto alcun seguito. E The Central Park Five si chiude con i loro volti catturati oggi e segnati dale ferite morali di una gioventù perduta, impegnati nel tentativo di ricominciare.

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24 Maggio 2012

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