Un omaggio rigoroso e onesto, senza tanta retorica, a due inviati di guerra della Rai, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia 9 anni fa, mentre erano vicini a una verità scomoda di traffici illeciti, armi e rifiuti tossici, che coinvolgono faccendieri, politici, servizi segreti e militari in Somalia e in Italia.
Questo il senso di Ilaria Alpi il più crudele dei giorni il film di Ferdinando Vicentini Orgnani che insieme a Pater familias, come ricorda Luciano Sovena, amministratore delegato, è tra i primi 2 film acquisiti dalla nuova gestione dell’Istituto Luce e sarà distribuito in 100 copie da venerdì 28 marzo.
Costato 6 miliardi e mezzo di vecchie lire, riconosciuto dal Ministero come pellicola d’interesse culturale, è coprodotto dai Rai Cinema il cui presidente, Giuliano Montaldo, sottolinea come il film servirà a ricreare un movimento d’opinione su un vicenda ancora insoluta.
Ilaria Alpi è stato girato in oltre 8 settimane tra Trieste, Roma, Belgrado, la Slovenia e il Marocco ed è liberamente ispirato al libro “L’esecuzione” di Giorgio e Luciana Alpi, Mariangela Gritta Grainer e Maurizio Torrealta.
Il produttore Gherardo Pagliei e il regista ammettono che ci sono state pressioni e intimidazioni nel corso della lavorazione da parte di alcuni personaggi chiave della vicenda, a cui è sempre stato possibile rispondere, con l’eccezione di 2 giornalisti, amici di Ilaria che hanno chiesto di non essere nominati nel film. Tra l’altro numerosi attori scelti all’inizio tra la comunità somala in Italia hanno lasciato dopo le minacce di alcuni clan.
“Le fonti sono state una gran quantità di materiale cartaceo e filmico e gli incontri con persone competenti”, spiega il regista Ferdinando Vicentini Orgnani. “Abbiamo deciso alla fine di limitarci all’ultimo mese di vita di Alpi e Hrovatin, dal loro primo incontro alla loro morte, attenendoci alla documentazione quando c’era. E’ una storia piena di vuoti che abbiamo provato a riempire con una verità possibile. Uno slalom continuo tra la verità dei fatti, le esigenze del racconto filmico e il processo ancora in corso”.
Nel ruolo dei due inviati di guerra, il croato Rade Serbedgia e Giovanna Mezzogiorno, che racconta di aver visto molti filmati su Ilaria e conosciuto i genitori. “Ho cercato di capire la sua personalità, il suo modo di lavorare, evitando di scimmiottare i suoi gesti. Ho voluto somigliarle nel modo in cui affrontava la sua professione. Io e Ilaria siamo donne diverse – confessa la Mezzogiorno – Lei, una tra le prime inviate di guerra, era una persona determinata, con una profonda consapevolezza della professione e della giustizia, e con una grande ambizione nell’accezione positiva del termine. Il film non propone una parodia degli inviati di guerra e restituisce una normalità di vita e professione in un contesto che degenera”.
L’ex parlamentare Mariangela Gritta Grainer è soddisfatta del risultato finale: “Abbiamo discusso a lungo noi autori del libro “L’esecuzione”, con il regista e lo sceneggiatore Marcello Fois se il film da realizzare avrebbe parlato al cuore dei tanti a cui le nostre pagine non erano arrivate. Volutamente non è un film inchiesta e si ferma al giorno del recupero dei corpi di Ilaria e Miran a Mogadiscio, e tuttavia non dimentica le ragioni dell’esecuzione”.
I motivi dell’assassinio di Ilaria e Miran sono acclarati anche da sentenze della magistratura che hanno coinvolto un solo imputato, un somalo condannato in terzo grado a 26 anni di reclusione. Nel film è chiaro il contesto dove matura l’assassinio, rimangono da scoprire mandanti ed esecutori, e presso la Procura di Roma esiste uno stralcio sul duplice omicidio.
Da segnalare l’assenza dei genitori di Ilaria Alpi che da anni si battono instancabilmente per la ricerca della verità e che hanno approvato il film.
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