Il viaggio nel tempo di Fabrizio Ferraro

Passa alla Festa del Cinema di Roma I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro, che sceglie il bianco e nero per riportarci indietro nel tempo


Quattro partigiani fuggono in mezzo alla neve sull’Appennino dell’Italia centrale, nel 1944.

Inseguiti, cercano un rifugio, incontrano una ragazza. Drammaticamente ambientata in un contesto storico e politico ben preciso, tuttavia la loro storia si connette, seppur non esplicitamente, con un presente ancora fragile e falcidiato da guerre concrete o minacciate.

Passa alla Festa del Cinema di Roma I morti rimangono con la bocca aperta di Fabrizio Ferraro, regista e sceneggiatore con alle spalle una formazione in scienze del cinema e filosofia del linguaggio, che sceglie il bianco e nero per riportarci indietro nel tempo, alternando campi larghi a primi piani, dialoghi serrati a voci narranti, intervallati da grandi silenzi e poderosi fruscii, rivolgendosi al passato per interrogarsi sulla contemporaneità.

Cinema forte, radicale, che si prende le sue necessarie responsabilità, rendendo protagonista la natura indomita quanto e più degli attori: “Un film deve restare sulla pelle – dice il regista – magari suscitando emozioni a distanza dalla visione. Si apre un mondo, si sentono i rumori, i profumi, anche se al cinema non ci sono. Quello che non si può spiegare a parole. E lo stesso vale per le riprese. La ragione degli attori è dentro di loro, non si tratta solo di imparare a memoria il testo ma di lavorarci per aprire un mondo. Io lo faccio lavorando in maniera teatrale, questo mi da molto materiale su cui lavorare. La Festa del Cinema è stata coraggiosa a inserire questo film in programma, fin troppe volte sento nei corridoi dire ‘è bello, è interessante, ma non può andare in selezione’. Come se ci fosse una corsa alla mediocrità. Ma questo è anche un film popolare, tutti possono vederlo. Oggi si rinuncia in nome di regole che sono date da strumenti che non hanno a che fare con il cinema. La velocità, lo scambio commerciale, ma io mi sono formato con tutto: Ford e Straub ma anche cinema più popolare”.

Il film è stato realizzato in condizioni proibitive, sotto la vera tormenta, senza nessun tipo di effetto. Il percorso conta perfino più del risultato: “Volevo passare del tempo sulla neve, in un posto sospeso – continua Ferraro – intercettare i resti di un paesaggio che ci parlano ma che non ascoltiamo mai, e che urlano parole come ‘libertà’, ‘amore’ e ‘resistenza’. Il paesaggio è sempre per me protagonista, l’idea autoriale non è superiore al mondo reale. E’ stato girato durante l’ultima parte della pandemia. Non parto dall’idea che poi viene riportata nel mondo. L’idea è parte del mondo e il mondo fluttua e cambia. Questo è faticoso ma grazie al gruppo di lavoro ci siamo ben destreggiati durante i cambiamenti. In pieno accordo potevamo aspettare una tempesta o un cambio di luce. Prendevamo l’imprendibile, e questo vivifica il cinema”.

Il film è parte del più ampio progetto iniziato con Les Unwanted d’Europa e proseguito con Checkpoint Berlin:  “Resta l’ultimo capitolo di una riflessione infinita – dice ancora Ferraro – Parlerà di due deportazioni: quella di un poeta russo quella di un altro poeta, deportato dai nazisti. Due parole diverse per due storie diverse. Dobbiamo porci il problema: perché usiamo sempre le parole ‘libertà’, ‘giustizia’, ‘pace’. Se le parole sono sempre le stesse allora forse dobbiamo indagare lì, per far sì che non sia sempre la guerra la soluzione. A partire dal cibo e dal vino, noi andiamo per semplificazione, ma questo non fa altro che alimentare la guerra. La vita è complessa. La semplificazione serve alla tecnica, ma non possiamo permetterci di non indagare la complessità del vivere. Il cinema, per questo, è uno strumento potente. Noi viviamo nel passato, il cinema contemporaneo si illude di cogliere l’istantaneo, ma tutto quello che viviamo lo viviamo nell’estensione passata, e questo comprende le nostre paure. Tutta la vita si fa nel passato. Perfino la luce che vediamo arriva dal passato. Siamo e viviamo in differita. E il cinema ha in questo la sua potenza. Ci mostra che le cose sono presenti quando non ci sono più. Inseguire la cronaca al cinema non serve. La cronaca è chiacchiera, e non esperienza. Ci si deve mettere nello spazio che esiste tra le parole e i fatti. Più c’è distanza e più c’è un abisso, dobbiamo tendere a uno spazio ristretto. Nel cinema la visione va rincorsa, con le spalle alla luce”.

Nel cast Domenico D’Addabbo, Emiliano Marrocchi, Fabio Fusco, Olimpia Bonato, Antonio Sinisi.

Il film sarà in programmazione al Nuovo Cinema Aquila di Roma dal 21 ottobre.

 

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19 Ottobre 2022

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