Zampa si calò in questa situazione senza conoscerla, armato di un “soggetto forte”, scritto da Piero Tellini, che molti allora confondevano con Fellini, entrambi sceneggiatori fra i più operosi e redditizi: una vicenda incentrata nientemeno che sui guai provocati dalla linea di confine tra la Zona A e la Zona B della Venezia Giulia, tracciata dalla Commissione Alleata, confine che in alcuni tratti divideva le case dal loro giardino, le cascine dal proprio orto, lasciando le une in Italia, gli altri in Jugoslavia, o viceversa, con conseguenze facili a immaginare. Insomma, un copione che toccava un nervo scoperto tra gli abitanti della zona e a maggior ragione andava approfondito per non apparire approssimativo, poggiato su idee ricevute (ce n’erano tante ieri come oggi: le stesse che recentemente sono costate l’insuccesso a Porzus).
In linea di principio la vicenda si adattava a Zampa. Ci ronzavano ancora nelle orecchie le parole pronunciate da Antonioni, venuto a Trieste per presentare N. U., il suo documentario sulla nettezza urbana, ma che noi consideravamo “uno dei nostri”, anzi un “maestro”, per via del magnifico saggio su Marcel Carné che aveva scritto per “Bianco e Nero”: “Zampa non è un grande regista”, ci aveva detto “ma è geniale nello scegliere gli argomenti”.
Pensate: soldati americani e tedeschi che finiscono entrambi nella cantina di un contadino umbro (Vivere in pace); la borgatara che guida una protesta, viene invitata a presentarsi alle elezioni, ma preferisce rimanere nel suo ruolo di casalinga (L’onorevole Angelina); l’impiegato municipale che nel dopoguerra viene epurato proprio dal sindaco che lo aveva costretto a iscriversi al partito fascista (Anni difficili); la prostituta che viene quasi santificata perché mandava i suoi risparmi al parroco del paese natale (Campane a martello).
Il soggetto del film che Zampa veniva a girare a Trieste era su questa linea; ma forse nella fattispecie gli sarebbe occorsa una marcia in più, quella marcia che Zampa non gli seppe dare. Difatti, di quelli che ho nominati, il film, che inizialmente doveva intitolarsi La linea bianca e infine, prese il titolo di Cuori senza frontiere, rimase il più debole, anche se viene periodicamente riproposto in tivù. Zampa, comunque, le sue cose migliori, le fece dopo; basti pensare a Processo alla città e Anni facili, per non parlare del modo magistrale in cui ha diretto Sordi in L’arte di arrangiarsi, Il vigile e nel terzo episodio di Contestazione generale.
La nostra collaborazione? Tullio ci si buttò dentro in modo concreto, fungendo da segretario di Bianca Lattuada, la sorella di Alberto, direttrice di produzione del film; io rimasi ai margini, risolvendo qualche problema con le istituzioni cittadine, indicando loro dove trovare certe cose che servivano, favorendo certi contatti indispensabili. Nel cast figurano anche i nostri nomi, Tullio nei panni di un militare jugoslavo, io in quelli dell’ufficiale sovietico facente parte della commissione che doveva tracciare la linea di confine. Due comparsate e nulla più. Ciò non c’impedì di coltivare rapporti continuativi con alcune degli attori principali: con Gina Lollobrigida, che durante le riprese andò ad abitare presso Anna Gruber, la figlia dello scrittore Silvio Benco, con la quale durante l’infanzia aveva avuto una relazione epistolare, entrambe facenti parti dell’associazione che raccoglieva gli “amici di Topolino”; Raf Vallone, che per noi rappresentava il cordone ombelicale coi film “che contavano”, il protagonista insieme a Gassman e alla Mangano di Riso amaro che forse, con eccessiva larghezza di vedute, inserivamo nell’area del neorealismo. Beppe De Santis gli venne anche a far visita, per parlargli di Non c’è pace fra gli ulivi il film che di lì a poco avrebbero fatto nuovamente insieme.
Qualche giorno dopo arrivò sul set Carlo Ponti, il produttore del film. Ponti lasciò Zampa quasi senza troupe per gli ultimi giorni di ripresa. L’aveva già ingaggiata per un altro film che doveva iniziare subito. Zampa abbozzò e si arrangiò come meglio poteva. “Se al posto di Zampa ci fosse stato Beppe, vedi che fuga avrebbe fatto Ponti”, mi disse Vallone. Né si può dire che Zampa coi suoi film precedenti non arricchì i produttori. Ma l’autorialità in Italia offre questi vantaggi. Mentre Zampa si professava un semplice artigiano.
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