Il Re Leos alla ricerca della bellezza


CANNES – Grande attesa e file kilometriche ieri per la proiezione stampa di Holy Motors, film di Leos Carax, in concorso, che vede il ritorno in scena del visionario regista dopo più di dieci anni di assenza, se si esclude l’episodio Merde del film collettivo Tokyo!, risalente al 2008. I francesi tengono ai loro autori, così la ressa che si crea supera di gran lunga quella che attendeva star internazionali molto blasonate come Brad Pitt o Shia LaBoeuf.

Holy Motors è un film d’azione. Non nel senso hollywoodiano del termine, sia chiaro, ma incentrato proprio sull”acting’, termine che in inglese si fonde e si confonde con il nostro concetto di ‘recitare’. Il personaggio principale – interpretato dall’eccezionale e istrionico Denis Lavant – è lui stesso una sorta di attore, che nel corso di ventiquattr’ore interpreta molti ruoli, ma senza che ci siano telecamere né pubblico a osservare le sue performance. Il film non spiega le ragioni del suo agire: è come un killer che esegue i suoi omicidi con rigorosa puntualità, assumendo di volta in volta l’identità che il caso gli richiede. Tra queste, c’è quella di Monsieur Merde – non c’è bisogno di tradurne il nome – un bestiale epigono di Mister Hyde che era già apparso appunto in Tokyo!, e che qui, emergendo dalle fogne, semina il panico tra le strade di Parigi sequestrando anche una bellissima mannequin (Eva Mendes).

“Se Lavant avesse rifiutato il ruolo – ha dichiarato il regista – avrei chiesto di farlo a Chaplin o a Lon Chaney jr.”. Carax non è l’uomo più comunicativo del mondo, quindi tirargli fuori qualche riflessione in fase di conferenza stampa è arduo. “Non faccio film per il pubblico – dichiara – sono prodotti privati. Non mi interessa essere visto da tanta gente, poi, certo, se qualcuno mi ama, sono contento”.

Più loquace Lavant, che parla volentieri della sua trasformistica prova: “Interpreto dieci personaggi nel film. Undici se si considera che il Signor Oscar, il protagonista che si cala in tutti questi ruoli, è lui stesso un personaggio. Sono stati tutti peculiari e ciascuno ha rappresentato una sfida, con le sue specifiche difficoltà. Non avevo molto tempo per entrare in tutte quelle parti, alcune erano fantasiose, come appunto quella di Monsieur Merde, altre più realistiche come quella del padre che cerca di comunicare con sua figlia e quella dell’uomo in punto di morte. In fondo, è un film che parla anche del prendere confidenza, con sé stessi, con le telecamere, con i propri partner. Per questo ho trovato particolarmente difficile la scena in cui dovevo lavorare con delle scimmie. Erano una mamma e un cucciolo e lei, comprensibilmente, non voleva che prendessi la sua prole in braccio. Mi ha guardato con occhi davvero selvaggi e lì ho dovuto molto lavorare per convincermi che non avevo paura. Ma è anche questo il tema del film: accendere il proprio ‘motore sacro’, quello che, come attore, mi permette di trovare il giusto approccio per realizzare una scena. E’ qualcosa di puramente fisico, di organico. Un’altra sequenza molto faticosa è stata quella in cui ho dovuto attraversare le fogne. Erano fogne vere, puzzavano da morire e ho rischiato di prendermi un’infezione. Infine, ho trovato il modo di essere naturale anche in quel contesto, la fluidità dei movimenti, in fondo la mia prima passione è la danza. Forse, per questo, mi merito un po’ di stima in più”.

“Il ‘motore sacro’ – prova a spiegare Carax – accomuna uomini, bestie e macchine, che nella mia visione sono sull’orlo dell’estinzione. Sono tutti legati insieme da un destino di solidarietà, schiavi in un mondo che si affaccia sempre più su uno scenario virtuale. Un mondo in cui le macchine visibili, le esperienze e le azioni reali stanno gradualmente scomparendo”.

Non a caso, una delle scene più intense è un orgasmo virtuale tra Lavant – che in quel momento è nei panni di un esperto di motion capture – e una snodata contorsionista, che ricorda quanto visto nei primi anni ’90 ne Il tagliaerbe, tra i primi film a trattare di realtà virtuale.

“Siamo abituati a chiamare ‘casa’ – dice ancora Carax – il posto dove gli uomini parcheggiano prima di andare a dormire. Ma qual è la vera casa delle persone? O è forse meglio vivere in costante movimento, come esploratori alla conquista di mari e montagne? Forse le nostre vere case sono già da considerarsi i nostri computer”.

E allora, in un mondo dove l’agire, l’agire realmente, il recitare concretamente, diventa sempre meno importante, il Signor Oscar di Lavant diventa un autentico rivoluzionario, alla costante ricerca della ‘bellezza dell’atto’ anche se non esistono più telecamere né spettatori, come spiega in un dialogo con l’altro unico protagonista maschile del film, Michel Piccoli. E se non c’è spettatore, esiste ancora la bellezza, dato che, è risaputo, essa risiede nell’occhio di chi guarda?

Nel cast, a sorpresa, c’è anche la popstar Kylie Minogue: “Ho conosciuto Carax tramite amici comuni – racconta – e sono stata accolta con molta tenerezza nella sua ‘famiglia’ cinematografica. Essere a Cannes, con lui e Denis, è un sogno autentico”. Kylie è sincera e si capisce dalla sua espressione raggiante, che sottolinea i tratti delicati del suo splendido viso.
La bellezza, dopotutto, non è solo negli occhi di chi guarda.

autore
23 Maggio 2012

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