Il nemico siamo… noi

In uscita il nuovo film del regista afroamericano Jordan Peele, già di culto all'opera seconda


Il nemico è dentro di te, nelle fogne, nell’intestino dell’America, pronto a venirti a prendere nel giardino della tua seconda casa, lussuosa e apparentemente sicura. Anzi, il nemico sei tu. Non è più solo questione di razzismo, si tratta di lotta di classe esplicita e i neri borghesi sono coinvolti quanto tutti gli altri nella minaccia. Torna Jordan Peele, il regista 40enne che due anni fa aveva fatto bingo col il film d’esordio Get Out (Scappa), vincendo un Oscar per la miglior sceneggiatura originale. E torna con un horror in piena regola, che vira verso lo zombie movie (modello dichiarato La notte dei morti viventi di Romero), lo splatter e la commedia: Us-Noi, in sala dal 4 aprile con Universal. Il regista afroamericano, che scavalca a sinistra Spike Lee, piace molto ai critici impegnati ansiosi di dare una lettura politica a un film dai significati stratificati e con varie svolte narrative anche inattese. Fin dal titolo, con quella doppia valenza, Us-Noi, ma anche Us, Stati Uniti. E infatti quando il padre di famiglia ‘perbene’ chiede agli assalitori: chi siete? Quelli rispondono ‘americani’. 

L’avvio è folgorante e anche piuttosto sconvolgente. Una bimbetta afro si allontana dai genitori durante una visita al luna park e finisce nel labirinto degli specchi, dove incontra una se stessa identica. Non è un riflesso deformato ma proprio un doppio in carne ed ossa. Stacco. Ora la piccola Adelaide è sotto shock ma non sappiamo cosa sia effettivamente accaduto perché non parla. Ed eccola adulta – è l’attrice premio Oscar per 12 anni schiavo Lupita Nyong’o – giovane moglie e madre. Con il marito (Winston Duke) e due figli (Shahadi Wright Joseph e Evan Alex) è in vacanza proprio nella località di mare dove si consumò il suo trauma infantile. Insieme a loro anche i vicini di casa bianchi con due figlie adolescenti (la madre è Elisabeth Moss, nel ruolo divertente della patita dei ritocchini estetici). Adelaide è turbata e fa bene perché in agguato, pronti a spuntare nel giardino di casa, ci sono dei sosia in negativo, brutti, sporchi e cattivi, vestiti di rosso e armati di forbici d’oro. Pieni di rabbia e spirito di rivalsa.

Dunque la minaccia non è l’estraneo, l’ignoto, ma l’identico. “Ogni volta che faccio un film mi chiedo cosa mi spaventa a livello primordiale, a livello di fobia. – spiega il regista – Poi inizio a sezionare. E la paura del sosia la porto dentro da tempo. Ho fatto ricerche sulla mitologia del doppio e ho scoperto che uno dei suoi significati ha a che fare con il tentativo di sopprimere se stessi e i propri istinti; e poi ho pensato di cercare di applicare quel concetto non al singolo individuo ma alla sua pluralità, al ‘noi’, alla comunità”.

Peele, che viene accostato oltre che a Spike Lee, anche a Tarantino e addirittura Spielberg, non esita a dare una lettura sociale del suo film. “Racconto la comunità americana, privilegiata e che ha paura di perdere i propri privilegi e per questo teme l’altro quando dovrebbe aver paura di se stessa. Quando siamo insieme noi, inteso come gruppo, possiamo essere il peggior mostro mai esistito. Possiamo realizzare cose stupende ma anche atrocità inaudite. E a fare le une e le altre è sempre una comunità di persone. Il fatto è che il ‘noi’, il gruppo, tende a cancellare le responsabilità che il singolo avrebbe e lo fa in una maniera in grado di creare atrocità. Tendiamo sempre a proteggere la nostra tribù, demonizzando gli altri, ma è il concetto di noi e degli altri che nasconde infinite debolezze”. Aggiunge Lupita Nyong’o: “L’idea del cosiddetto Doppelgaenger fu usata già ai tempi degli egizi con Ka, che aveva accesso alle emozioni e ai pensieri del proprio doppio. Tutti abbiamo un lato oscuro e, per contenerlo, dobbiamo imparare ad accettarlo. Nel film il mondo attuale, dominato dalla violenza razzista, rifiuta gli outsider, i diversi da noi, che siano terroristi o solo migranti”. 

Partita con una suspense soprattutto psicologica la storia vira verso l’horror anche splatter nella seconda parte, quando i Red dilagano e qui non mancano le sottolineature comiche: “Anche questa volta ho cercato di stemperare la tensione con l’umorismo – sottolinea il regista – se dai al pubblico una valvola di scarico, si diverte di più. E comunque, chi dice di non amare gli horror è perché ha guardato l’horror sbagliato. E’ molto importante per me raccontare storie che qualsiasi audience possa amare. Tutto dipende dall’efficacia della storia. Se il racconto è forte, allora puoi spingere il confine un po’ più in là e così promuovere una più vasta rappresentazione sul grande schermo. E questo è il mio obiettivo”. 

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03 Aprile 2019

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