Il Natale di Roma in un kolossal primitivo e furioso

Sangue, fango, pioggia, sudore. È tutto faticosamente umano ne Il primo Re di Matteo Rovere, che racconta attraverso il mito, ma con uno stile profondamente realistico, la fondazione di Roma e nascita


Sangue, fango, pioggia, sudore. È tutto faticosamente umano nel kolossal firmato da Matteo Rovere, Il primo re, che racconta con uno stile profondamente realistico la fondazione di Roma e nascita dell’impero attraverso il mito di Romolo e Remo. Sin dalla prima scena, che si apre con la maestosa sequenza del Tevere che esonda, si avverte tutta la furia degli elementi, la fatica estrema di sopravvivere allo strapotere di una natura che è matrigna ostile, lo sforzo della lotta che è corpo a corpo ravvicinato mosso dall’istinto animale più che dal gesto bellico. Qualcosa di molto lontano dall’estetica di produzioni epiche americane come 300 o Spartacus, in cui la battaglia è puro virtuosismo di muscoli e rotonda grazia visiva, proprio per questo, però, asettica e astratta perfezione. “Mi interessa sorprendere lo spettatore attraverso la verità” conferma il regista a proposito del film che vanta effetti speciali ridotti al minimo ma un grande lavoro su luci naturali e fotografia che porta la riconoscibile firma di Daniele Ciprì. Recitato in latino arcaico, per la precisione in una ricostruzione fatta insieme a un gruppo di semiologi della lingua protolatina da cui si ritiene abbiano poi avuto origine successivamente le lingue latine. “Il trucco, le ricostruzioni degli ambienti fatte in fase di realizzazione insieme ad antropologi e archeologi, la lingua, sono tutti elementi imprescindibili che fanno parte di uno stesso percorso. Il film non sarebbe immaginabile con la pelle dei protagonisti pulita o non bruciata dal sole, i denti perfetti, senza dettagli animali come Remo che mastica il cibo e lo dà al fratello malato come se fosse un uccellino”.

Protagonisti del film due fratelli gemelli e il loro legame profondo destinato a diventare leggenda, Romolo e Remo, due pastori che devono trasformarsi in soldati, che in un mondo antico sfidano il volere implacabile degli Dei per cercare di costruirsi il proprio destino. Un concetto che al giorno d’oggi potrebbe non apparire così dirompente se non filtrato attraverso lo sguardo di uomini primitivi completamenti assoggettati alla divinità, che per loro è soprattutto la manifestazione della natura, il fuoco sacro che unisce e spaventa. Ma Il primo re va ben oltre la messa in scena del mito fondativo e arriva a toccare una matrice arcaica capace di parlare anche all’uomo contemporaneo: il sentimento di fratellanza, il condizionamento del contesto (nel film un mondo respingente e portatore di morte), il rapporto con l’ignoto: “Volevamo raccontare cosa succede all’individuo quando un destino forte e più grande di sé arriva a travolgerlo. Anche noi oggi sentiamo il divino, l’altro da noi. Anche la costruzione di un ordine è qualcosa che risuona molto presente e parla dell’attualità, di cosa significa imperialismo, di come la società si fondi attraverso il divino e la coercizione dell’altro”.

I due fratelli hanno un rapporto diverso con la divinità, uno riconosce il Dio nelle vestali che portano il sacro fuoco, l’altro no. Uno si sottomette al destino, l’altro rivendica il libero arbitrio e si ribella a un Dio che gli chiede la vita del fratello in sacrificio. Dal sangue di uno di loro nascerà una città, Roma, il più grande impero che la Storia ricordi, che scaturisce dal dolore di un fratello che uccide il proprio gemello, e che nel farlo ammazza una parte di sé, quella più intima, sacrificandola per dar vita alla civiltà. “Nell’elaborazione del lutto le visioni e le nature in antitesi dei due gemelli arrivano ad una sintesi, una nuova visione che è importante nella fondazione di Roma, la città che custodisce il fuoco che incarna Dio, e che ha un significato aggregativo”.

Grande prova d’attore per Alessandro Borghi, Remo, il fratello sconfitto che porta su di sé il dilemma dell’amore e dell’arbitrio. Dopo l’incredibile trasformazione di Sulla mia pelle l’attore torna a confermare la sua straordinaria vocazione fisica nell’interpretazione. Qui è smilzo ma muscoloso, sporco, primitivo, con una luce fiera e curiosa nello sguardo che sembra indagare sempre oltre. “Del film mi è rimasto il rapporto con la terra, la relazione viscerale con le cose”, racconta. E a proposito del personaggio che interpreta: “L’accettazione del destino è una cosa che Remo non concepisce, io stesso tutti i giorni combatto con l’esistenza del destino, accettandolo mi sembrerebbe quasi di togliere qualcosa a me stesso e ai miei meriti”. Ma un altro elemento importante del film, oltre al legame tra i due fratelli “che è come se fossero un unico essere umano legati da un elastico che li allontana e li avvicina”, è il concetto di comunità: “Colui che decide di far parte della comunità trionfa, l’individualismo fallisce”.

Nel ruolo di Romolo, Alessio Lapice: “Non c’è tra i due gemelli uno buono e uno cattivo – sottolinea – entrambi partono allo stesso modo ma poi nella spinta alla sopravvivenza ognuno si modula in maniera differente. Romolo accetta la spiritualità degli dei, ma va contro suo fratello e decide di sacrificare l’amore per il mondo, per sottomettersi a un potere più grande e a quello che chiedono gli Dei”. Nel cast anche Tania Garribba, la vestale che con i suoi occhi vede il futuro di ciò che diventerà un impero: “Il mio personaggio ha la funzione di lavorare tra due luoghi, un femminile che si fa tramite all’interno della comunità tra gli uomini e l’ordine cosmico, divisa tra il proprio umano e il dover fare funzione, anche malgrado se stessa”.

Prodotto da Groenlandia con Rai Cinema, in coproduzione con Gapbusters in associazione con Roman Citizen Il primo re arriva “solo al cinema”, come si legge sulla locandina, dal 31 gennaio con 01 Distribution: “Ci sono stati vari tentativi di acquisto e vendita su altre piattaforme ma, anche a costo di una perdita economica, volevamo assolutamente che il film fosse visto su un grande schermo”.

 

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24 Gennaio 2019

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