VENEZIA – “Io ho scelto il cinema come ripiego, perché ho capito che letteratura e musica non erano il mio campo. Chi è abile fa altre cose, non il cinema. Il cinema permette di deresponsabilizzarsi”. E’ così che Mario Monicelli parla di sé in La versione di Mario, documentario collettivo di Mario Canale, Felice Farina, Mario Gianni, Wilma Labate e Annarosa Morri, prodotto da Orme e Nina Film in collaborazione con Rai Cinema, Cinecittà Luce e Surf Film, sulla figura del grande maestro del cinema italiano. Il film è nella sezione Venezia Classici alla 69ma Mostra del Cinema.
“Suo padre, giornalista e drammaturgo, frequentava grandi intellettuali, del calibro di D’Annunzio – racconta Canale – ma sua madre era una donna semplice, semianalfabeta. E per quanto in famiglia si potesse parlare di massimi sistemi, arrivava sempre il momento in cui lei li rimetteva tutti a posto gridando che era pronto in tavola”.
Monicelli dalla doppia anima, umile eppure severissimo sul set. E anche un Monicelli perduto, quello del film Pioggia d’estate, un inedito introvabile girato sotto pseudonimo a Viareggio, dove il regista visse la sua gioventù.
“Non ne restano che pochi fotogrammi – racconta Gianni – ce li ha un esponente dei Forzano, famosa famiglia di cineasti viareggini. Per un attimo abbiamo pensato di averlo ritrovato davvero”.
Monicelli – La versione di Mario (questo il titolo completo) è diviso in cinque capitoli: Mestiere, Origini, Confidenze, Ridere e Politica. “Ognuno di noi – racconta ancora Gianni – ha scelto l’argomento a cui si sentiva più vicino. E’ stato naturale, ed è stata la cosa su cui abbiamo litigato di meno”. “Qualche anno fa – dice Farina sulla genesi del progetto – io, Wilma e Mario decidemmo di passare una giornata con Monicelli e riprendere con le telecamere a mano non un’intervista, ma una chiacchierata a ruota libera. Lo trovammo in un momento fortunato, non era troppo infastidito, lo abbiamo portato a pranzo e ci ha raccontato il suo sguardo sulla vita e sul cinema. Mario Canale e Annarosa Morri hanno incontrato Monicelli in molte occasioni e avevano un grande archivio su di lui: dai set alle interviste sui più svariati argomenti, e abbiamo deciso di unire le forze”. “Il metodo – aggiunge invece Canale – è stato un po’ quello che si usava negli anni ’50, quando a scrivere un film ci si mettevano anche dieci persone”. Un metodo ‘monicelliano’ esso stesso, potremmo dire.
“Abbiamo deciso di raccontarlo a episodi – continua – in maniera tematica, piuttosto che tendere a un ritratto univoco. Anche per questo abbiamo scelto di cambiare il titolo, che in origine era Uragano Mario. E’ giusto che sia lo stesso Monicelli a darci la sua versione, come quando si sminuisce, definendosi un mestierante, quando invece era un autore a tutto tondo con un’estrema padronanza del mezzo cinema. Ma sminuiva anche eventi che avevano caratterizzato la sua vita. Ad esempio, la separazione con Steno: Carlo Vanzina la ricorda in maniera drammatica, Monicelli diceva semplicemente che volevano fare cose diverse. Le abbiamo montate in parallelo. E sappiamo bene che, per motivi contrattuali, i due continueranno per molti anni a firmare insieme quando invece realizzavano i film ciascuno per sé.
Nel film parla anche Chiara Rapaccini, ultima compagna del maestro. Che aveva la fama di misogino, di ‘maschilista’. Ma che poi raccontò con maestria anche l’universo femminile con Le Infedeli e Speriamo che sia femmina. “Forse lo era a parole – conclude Farina – Io so che era un uomo straordinario, non solo come regista. Mi ha colpito la sua grandissima lucidità, i ricordi vividi, la totale noncuranza circa la paura dell’invecchiamento. Io, che invece ho molta paura, prendo esempio da lui. E questo documentario mi ha arricchito anche se lo abbiamo girato sotto casa, nel cuore di Roma, rione Monti dove Monicelli abitava”.
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