VENEZIA – Racconta un dramma e un trauma profondo non solo della Bosnia ma del mondo intero, Quo Vadis, Aida? di Jasmila Žbanić, in concorso a Venezia 77, che narra dell’esecuzione sistematica di oltre 8mila residenti della città bosniaca orientale di Srebrenica alla fine della guerra in Bosnia, durata dal 1992 al ’95. Durante la guerra, Srebrenica fu dichiarata zona sicura dell’ONU per civili e cittadini. Tuttavia, quando le forze serbo-bosniache invasero la città nel luglio 1995, le truppe dell’ONU che avevano chiesto aiuto al segretario generale a New York furono completamente deluse insieme alla popolazione. “Srebrenica è a quaranta minuti di volo da Vienna, a meno di due ore da Berlino ed è spaventoso pensare che un simile atto di genocidio sia avvenuto direttamente davanti agli occhi europei, dopo che tutti abbiamo ripetuto un milione di volte: mai più”, denuncia la regista che si dichiara una sopravvissuta della guerra in Bosnia.
Protagonista Aida (Jasna Duričić), un’interprete che lavora per le Nazioni Unite. Quando l’esercito serbo occupa la città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nel campo delle Nazioni Unite, come persona informata sulle trattative, ha accesso a informazioni cruciali e fa di tutto per difendere, come una leonessa, i suoi figli e suo marito. “È un film dedicato alle donne che hanno perso figli, mariti, persone che amavano – rimarca la regista – Conosco persone che hanno perso fino a sessanta membri della loro famiglia. Ci sono tanti film che raccontano il punto di vista maschile, ma mi serviva la storia raccontata dalla prospettiva di una donna. Ci riempiono di bugie sulla guerra, con dichiarazioni politiche che facilmente portano le persone al conflitto e poi alla guerra”.
Non vuole essere, però, una messa in discussione del ruolo dell’ONU, sebbene venga denunciato il comportamento di chi poteva fare ma si è tirato indietro: “Non è un film contro le Nazioni Unite, abbiamo bisogno di un’istituzione di questo tipo, vorrei solo che migliorassero il loro modo di operare, noi tutti dobbiamo cercare di rendere migliori le Nazioni Unite e di rafforzarle. Ho cercato di avvicinarmi a tutti coloro che erano coinvolti nella storia e parlare loro, alcuni si sono rifiutati ma ho anche incontrato molti militari, alcune delle piccole storie narrate nel film derivano proprio dal loro racconto. Un ragazzo mi ha raccontato di aver pianto per la sensazione di non poter far nulla”.
Rispetto alle truppe olandesi – continua la regista – non erano tutti uguali, c’era chi comandava e avrebbe potuto cambiare la situazione. Anche se avevano pochi mezzi, non hanno sparato una sola pallottola per difendere la popolazione, che era uno dei loro compiti. Ma ci sono tanti soldati semplici che non potevano fare niente, e che ora si sentono in colpa. “In generale penso che anche se abbiamo dei mezzi limitati c’è sempre la libertà di essere empatici e solidali, anche oggi, anche se abbiamo un governo di destra siamo liberi di provare pietà. Cosa che non hanno fatto le truppe olandesi nel ’95. Non hanno avuto empatia, avevano pregiudizi sulla popolazione locale”.
Ad interpretare il generale e criminale di guerra Ratko Mladić, colpevole del massacro brutale, che si capisce essere pianificato nonostante le apparenti trattative, Boris Isaković: “In Iugoslavia potrebbero esserci dubbi su cosa è vero e su cosa non lo è nel film. Rispetto al mio personaggio, per chi avesse dubbi, posso dire che basta aprire YouTube e vedere tutti i materiali che ci sono. Ho insistito molto nel ripetere le parole esatte che si sentono in quei filmati, non ne ho cambiato nemmeno l’ordine, per cercare di mantenere il mio personaggio il più realistico possibile”.
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