Il 13 agosto Sahraa Karimi non ce l’ha fatta più: ha scritto un appello per sensibilizzare i media, la comunità degli artisti, le organizzazioni umanitarie su quello che stava accadendo, dicendo in sostanza “non voltateci le spalle”. E’ stata facile profeta: “il 15 agosto ho cominciato la mia giornata come sempre, dopo poche ore ho dovuto prendere la decisione più difficile della mia vita: partire o restare, ho visto il mio paese crollare, i miei sogni crollare e non sono solo i miei ma quelli di una generazione che ha creduto di poter vivere diversamente. In poche ore tutto il futuro si è fermato”, ha detto tra le lacrime la cineasta che è stata la prima presidente donna dell’Afghan Film Organisation e oggi è una rifugiata.
Un panel internazionale, messo in piedi dalla Biennale in pochi giorni, ha acceso oggi i riflettori su uno degli aspetti tragici della crisi: la persecuzione degli artisti. “Tantissimi talenti sono fuggiti, tanti sono rimasti ma vivono nel terrore, hanno cancellato gli account, lavorano in segreto, si nascondono con pseudonimi” ha proseguito con emozione.
Ma invano: pochi giorni fa è stato arrestato e forse ucciso un artista solo perché ha suonato il gamburè, uno strumento musicale. “E’ una vergogna per tutti noi essere perseguitati per questo”, ha aggiunto la documentarista afghana Sahra Mani (presente con un progetto al CoProduction Market della Mostra) anche lei rifugiata. Mani, che stava lavorando al film Kabul Melody ha spiegato che “lavorare in Afghanistan non è mai stato facile, abbiamo avuto il governo più corrotto al mondo, ogni volta che uscivamo di casa guardavamo le persone e le nostre cose pensando che potesse essere l’ultima volta. Tutto il mio lavoro aveva una doppia copia, in Afghanistan e fuori, ma eravamo lì, volevamo costruire il paese, perseverare, come è stato possibile vi chiedo – ha detto rivolta alla platea – che i terroristi talebani abbiano potuto conquistare in pochi giorni il mio paese?”.
Queste due donne coraggiose hanno chiesto da Venezia “di non essere dimenticate” e di costruire una rete di aiuto internazionale. Accanto a loro c’era Orwa Nyrabia, cineasta indipendente siriano, ora direttore del festival di Amsterdam, anche lui fuoriuscito e po la direttrice del festival di Rotterdam Vanja Kaludjercic, il presidente Efa Mike Downey e il direttore esecutivo Matthijs Wouter Knol , insieme al moderatore Giuliano Battiston che dal 2007 si dedica all’Afghanistan con viaggi, ricerche e saggi.
Sahraa Karimi ha avvertito che i “talebani sono crudeli come 20 anni fa sono solo più furbi e capaci di utilizzare meglio la propaganda facendo credere di essere cambiati: ma chi nel 21/mo secolo proibisce la musica, l’arte, il cinema, relega le donne come può essere accettato? La mia generazione non vuole questo, per favore non vi dimenticate di noi. Siamo senza casa e non perché siamo fuggiti dalla nostra, magari troveremo anche un altro lavoro ma non abbiamo più un paese. Immaginate una nazione senza artisti come potrà difendere la propria cultura, la propria identità”, ha aggiunto commossa. “Kabul è una città perduta, gli archivi del cinema sono sotto il controllo dei talebani che ora che parlo potrebbero avere già distrutto tutto quello che stavamo costruendo e vi assicuro che era tanto, volevamo raccontare l’Afghanistan – ha concluso – cambiando narrativa, senza i cliché, avevamo autorizzato nove registi a nuovi progetti, stavamo organizzando tante cose, per la prima volta anche un film afgano era andato a Cannes e tanto altro che adesso è spazzato via. Aiutateci a non perdere le speranze“.
La 78. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, che si è conclusa sabato 11 settembre al Lido, prosegue online con alcune delle sue sezioni più innovative (Venice VR Expanded, Orizzonti Cortometraggi), molto apprezzate anche quest’anno dal pubblico e dalla critica
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