“Facendo un discorso in maniera non convenzionale la mia audience è molto più ampia” recita così Marco Belelli, alias il Divino Otelma, all’interno del film di Luca Ferri Vita terrena di Amleto Marco Belelli. Una definizione, quella di “non convenzionale”, che forse sta addirittura stretta a questo personaggio così iconico e sfaccettato. Un’intelligenza brillante avvalorata da ben sette lauree, una visione del mondo e della spiritualità molto precisa e, soprattutto, un’eloquenza che vale da sola il prezzo del biglietto: sono queste le caratteristiche che hanno dato popolarità e successo al Divino e che vengono trasferite per osmosi anche a questo film, presentato nel concorso documentari del 40mo Torino Film Festival.
Girato per 52 settimane a partire dal lockdown del 2020, il film è composto per la stragrande maggioranza da riprese effettuate su Skype, in cui il Divino nella sua “veneranda Casa Madre di Genova” (la sua abitazione) si racconta al regista. Tutta la sua vita, da “Divino Pargolo” fino a leader spirituale di una Chiesa che vanta oltre 20mila adepti, viene sciorinata in pillole di saggezza e in nostalgici momenti di ricordo dell’infanzia e della giovinezza. Fino ad arrivare a un caustico momento finale, in cui ci si affaccia al momento della trascendenza in cui il Divino abbandonerà la sua vita fisica, nella consapevolezza che “la morte non esiste”.
A queste sequenze, sapientemente intitolate, come dice il montatore Andrea Miele, “per aiutare lo spettatore ad orientarsi”, si alternano filmati di repertorio e veri e propri “filmini”, in cui il Divino si improvvisa regista riprendendo i luoghi più cari della sua Genova accompagnati dal racconto della sua viva voce. Qui la sapienza da narratore esperto dell’uomo auto-definitosi divinità viene fuori, regalando momenti anche sorprendentemente toccanti.
“Noi abbiamo accettato con qualche dubbio e perplessità. – dichiara il Divino Otelma con il suo tipico pluralis maiestatis – Abbiamo prima dovuto appurare che la persona con cui parlavamo non fosse un ciarlatano. Accade sovente che arrivano proposte stranissime e molto spesso ci è capitato di incontrare persone poco credibili. Abbiamo incontrato il regista, solo il contatto poteva darci delle certezze, perché abbiamo delle percezioni. Siamo arrivati rapidamente a pensare che non era un pazzo, ma una persona con un progetto. Siamo stati notevolmente avvantaggiati dalla pandemia, che ci ha portati verso un’impostazione filmica che non ha precedenti. Come le riprese fatte con lo smartphone in giro per la città. Cosa che non avevamo mai fatto, ma che siamo stati incoraggiati a sperimentare. Ci è stato detto di seguire l’ispirazione: una proposta molto generosa ma da esiti molto variegati. Un terreno scivoloso. Quando sentivamo una spinta, un’eco di un ricordo che ci aveva lasciato un segno, venivamo spinti a raccontarli”.
Nella sua originale impostazione, Vita terrena di Amleto Marco Belelli regala sorprese a ripetizione, frutto di un accurato e difficile lavoro di cesello dei quasi 5mila minuti di riprese accumulati nel corso dei mesi: “Io normalmente giro 60 minuti per un film di 70, lavoro per aggiunte non per sottrazioni. – spiega il regista Luca Ferri – Questo è stato un lavoro clamoroso. Avere il Divino Otelma e non metterlo nel titolo è come avere una Ferrari in garage e non usarla mai. Ma per me è una dichiarazione di intenti: questo non è un documentario, è un film in cui vedi la figura di Marco Belelli, vedi il Divino, vedi un’idea di cinema. È un ragionamento sul meccanismo, sul come fare cinema. L’idea di cinema non è per forza Skype o le nuove tecnologie, ma un ragionamento sui dispositivi. Il tema del divino riguarda il cinema. Lo schermo è un pulpito, posizionato in alto con lo spettatore che guarda con questa postura dal basso. C’è un rapporto di forza nel cinema tra l’immagine e lo spettatore”.
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