CANNES – Un film corto (17 minuti), girato in Super16mm: Francesco Sossai partecipa nella selezione della Quinzaine des Realizateurs con Il compleanno di Enrico, una co-produzione Germania/Francia/Italia.
Nell’ultimo giorno dell’anno del secolo scorso, il 1999, domande, aspirazioni, paure, incertezze e fantasie si inseguivano come sentimenti collettivi, nell’attesa del Millennium Bug: “è da ricordare che il momento critico si verificherà per l’intera Europa alle ore 00.00 del 1 gennaio, e che inconvenienti potranno verificarsi nelle ulteriori due e quattro ore, quindi attenzione e preparazione” fa monito la voce che esce dall’autoradio della macchina su cui viaggia Francesco-bambino, viso appoggiato al finestrino, e bosco che fuori corre veloce e “contromano”.
La vita di un essere umano è fatta anche di ricordi ma come – col passare del tempo – questi restano impressi e si trasmettono dunque realistici, come accaduti, se intaccati dal trascorrere cronologico? “Il compleanno di Enrico è un film sulla memoria, su come ricordiamo le cose”, per il suo autore.
Sossai sceglie il biopic, il racconto è autobiografico e la sua onestà sta nel riportare la sua intima memoria sullo schermo, il più fedelmente possibile: “papà, ho paura” sono le sue prime parole nel film, evidentemente un ricordo emozionale preciso, a distanza di anni, tanto da essere diretto, senza giri di parole; la paura è qualcosa di capitale e basta una parola a raccontarla. E poi sceglie un oggetto, anch’esso parte del ricordo collettivo di chi era bambino in quel periodo, cita infatti espressamente la famosa macchinina Mini 4WD, che detta anch’essa un tempo specifico.
“Tuttavia, mi sono reso conto che l’unico modo per farlo era mettere in scena quelle distorsioni tipiche dei ricordi: l’accentuazione di dettagli apparentemente poco importanti, i paesaggi e i luoghi filtrati dall’emozione, una certa atmosfera perturbante che non è soggetta alle leggi della logica”, spiega il regista.
“È un film sull’essere bambini, sulla fascinazione per le case degli altri, sui padri severi e quelli alcolizzati, sulle nonne che scompaiono nei boschi e sulle madri che devono urlare per farsi sentire. Girare questo film è stato per me come ritrovare un vecchio quaderno delle elementari o leggere una cartolina di un’epoca passata, colta in un momento di transizione: gli ultimi giorni del millennio, tra la fine della guerra in Jugoslavia e l’inizio di un mondo di terrore e incertezza simboleggiato, nel racconto, dal Millennium Bug. Per raccontare la storia, ho scelto di puntare la macchina da presa, ancora una volta, sul paesaggio del mio paese natale, un luogo per me al tempo stesso familiare e carico di orrore”.
Francesco Sossai – nato nel 1989 a Feltre, nelle Dolomiti bellunesi – dunque, accarezza, impasta, maneggia con cura la sua personale memoria, ma con la capacità di non rendere il racconto soltanto individuale, piuttosto toccando corde emotive e di vissuto sociale comune per cui s’innesca empatia, a tratti ci si specchia.
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