Il ‘compagno’ Andreotti e il cinema

Tatti Sanguineti narra nel documentario 'Giulio Andreotti. Il cinema visto da vicino' il periodo in cui il leader DC è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega dello spettacolo


VENEZIA. “Voi di sinistra, voi del ’68 non avete capito nulla di quel che è successo nel dopoguerra: Andreotti ha ammazzato cinque film, ma ne ha fatti fare 5mila”. Questa battuta dello sceneggiatore Rodolfo Sonego sintetizza, secondo Tatti Sanguineti, il ruolo politico svolto nel cinema dal ‘sette volte presidente del Consiglio’ e raccontato dal documentario (Venezia Classici) Giulio Andreotti. Il cinema visto da vicino, prodotto e distribuito da Luce Cinecittà con il supporto della Dg Cinema-MiBACT.
“Tra i cinque film ammazzati vi sono uno di Soldati sull’occupazione della Fiat alla fine della Grande Guerra, uno di De Santis, Zappalà, sulla strage di Melissa, e di sicuro un altro sulla strage di Portella della Ginestra”, ricorda Sanguineti.

Tra il 2003 e il 2005 due telecamere registrano 21 sedute di circa 45 minuti l’una e Andreotti si sottopone, senza condizione alcuna, al fuoco di domande. A interrogarlo sono Tatti Sanguineti e Pier Luigi Raffaelli. Il film, utilizza alcune parti di quell’interminabile conversazione, per raccontare in un’ora e mezza il periodo in cui, dal 1947 al 1953, il leader democristiano ricopre l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega dello spettacolo.
Tra i suoi primi atti, il recupero di Cinecittà una volta liberata dagli sfollati e dai profughi che l’hanno occupata; il salvataggio dell’Istituto Luce e del suo archivio; nel 1949 la legge di sostegno sul cinema, in particolare la programmazione obbligatoria per gli esercenti dei film italiani che arriveranno a coprire il 56% degli incassi durante il suo mandato. “Il mercato italiano faceva gola agli americani e ci fu il tentativo di spazzarlo via subito nel dopoguerra” sottolinea Sanguineti.

Ma Andreotti è anche l’uomo di governo che suggerisce cambiamenti in fase di sceneggiatura, impone, attraverso la commissione censura, tagli a tanti film nazionali fino ad arrivare alla polemica aperta con il mondo del cinema in occasione dell’uscita di Umberto D. di De Sica perché il film dà all’estero un’immagine distorta del nostro paese.
Ma blocca anche un film violentemente antiamericano voluto e ideato dal presidente dell’Azione cattolica Gedda. Proprio la censura cinematografica è la parte preminente del film e Andreotti ce la racconta tra ricostruzioni, ricordi, qualche autocritica, ma spesso giustificandosi con la necessità di non avvelenare il già difficile clima politico e sociale di allora. Una testimonianza importante per comprendere l’atmosfera di quegli anni, accompagnata da spezzoni di cinegiornali (dall’Archivio Luce) brani di film, fotografie, carte e verbali.

“L’intervista con la figura più discussa della storia italiana del secolo è avvenuta in modo documentato, testuale, evitando i ‘si dice’, insomma un’intervista a prova di fiamma ossidrica. Alla fine la cosa che non avrei immaginato è che il leader Dc ci si regalasse con questa generosità, simpatia e intelligenza: in fondo si è divertito. E Andreotti non solo narra le sue imprese malefiche di censore dal ’47 al ’53, ma si autocanonizza in questo  ruolo e quindi diventa legittimo avere la sua opinione su Ultimo tango a Parigi“, aggiunge l’autore.
“Andreotti era infatti abilissimo a autoparodiarsi, a incorporare l’epiteto del nemico e a stravolgerlo. Perciò è banale ridurre Andreotti a Topo Gigio come ha fatto Sorrentino, o al plurimandante di molti omicidi di mafia nel film di Pif, o ancora all’Andreotti colpito da ictus nella trasmissione tv ‘Questa domenica’ come Veltroni fa in modo intollerabile nel suo film su Berlinguer”.

Il documentario di Sanguineti può così vantare il patrocinio del Comitato Giulio Andreotti. “Abbiamo fornito con molto piacere l’appoggio morale e operativo perché il compito del nostro Comitato – dice Marco Ravaglioli – è quello di approfondire e divulgare il lavoro politico di questo statista, nonché conoscere un periodo importante e lungo della storia italiana”.

Ovviamente c’è tanto altro materiale che non è entrato in questo lavoro, come il suo rapporto con i produttori, i registi, gli attori, a cominciare da quel suo odio antropologico nei confronti di Visconti. “La finalità di un Archivio è di valorizzare il proprio patrimonio, e credo che ci sarà un seguito”, conclude Roberto Cicutto, AD di Luce Cinecittà.

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