Da bambini si può essere tutto quello che si vuole e, anche quando bisogna sottostare alle regole genitorali, è nella fantasia più ardita che tutti i sogni infantili riescono a prendere vita concretizzandosi -immaginariamente- in una vera e propria figura che ci accompagna sempre. Ed è così che in IF – Gli amici immaginari, scritto e diretto da John Krasinski, tutti i desideri di un bimbo possono dare origine a un amico immaginario fatto su misura: un enorme orsetto rosa per i più golosi, un astronauta per chi sogna di esplorare lo spazio, e una topolina ballerina (dai tratti dei cartoon degli anni ’30) per chi ambisce a tutù e scarpette da ballo. Eppure, per quanto quei sogni d’infanzia siano così forti da farci produrre dei veri e propri amici dotati di “corpo”, sono destinati a dissolversi per dar spazio all’intransigente determinatezza della vita adulta e alle sfide più ardue che inesorabilmente questa comporta. Lungi dal restare una storia per bambini, IF – Gli amici immaginari, si rivela come un racconto dolceamaro sul passaggio obbligato dal mondo dell’infanzia a quello dell’adultità, e al recupero di quella piccola parte infantile nascosta in ciascuno di noi.
Bea (Cailey Fleming) è un’introversa ragazzina di dodici anni costretta a trasferirsi a Brooklyn da sua nonna materna per poter stare vicino al padre, interpretato da John Krasinski, ricoverato in ospedale. La casa però, sussurra a Bea di ricordi lontani legati ad una Bea bambina la cui creatività (distante dalla passività dei nuovi media) veniva costantemente stimolata da sua madre non più in vita. Disegni, risate, colori e balletti sulle note di Tina Turner accompagnano i flashback di una ragazzina che, fin troppo presto, ha dovuto dire addio allo spensierato mondo dell’infanzia per sperimentare la traumatica esperienza dell’elaborazione del lutto genitoriale, e che rischia di affrontare di nuovo per via di suo padre.
Con gli occhi disillusi di una piccola donna Bea, che ammonisce chiunque provi a trattarla come una bambina, trova un originale lavoro che la possa distogliere dalle sue preoccupazioni sull’eventualità della perdita della figura paterna. Con Cal (Ryan Reynolds), lo sbadato e nervosissimo vicino di casa di sua nonna che vive insieme a Blue, un enorme pupazzo viola (il bambino che lo ha creato era daltonico) che cerca disperatamente di legarsi ad altri bambini, e alla elegante ballerina Blossom, metteranno su una piccola impresa di ricollocamento di amici immaginari. Cal e Bea che sembrano gli unici a vedere gli amici immaginari di tutti, aiuteranno gli IF a ricongiungersi con i propri bambini e che, ormai adulti, li hanno dimenticati. Infatti è proprio questo che succede agli IF di John Krasinski, una volta dimenticati dai propri padroncini, finiscono per dissolversi.
Tra le pressioni e lo stress di una delle città più caotiche del mondo come Manhattan non c’è spazio per gli IF, così tutti gli amici immaginari che rischiano di scomparire si rifugiano in uno dei luoghi dell’infanzia per eccellenza: il parco di divertimenti di Coney Island a pochi passi dalla grande mela. Nel cuore del luna park, sorge infatti una casa di riposo per IF disperati alle prese con l’accettazione della crescita come percorso obbligato di ogni bambino. E sarà proprio la giovane Bea a riportare uno spirito positivo nell’ospizio di IF, i quali disposti ad essere ricollocati anche ad altri bambini, come a un colloquio raccontano dei loro piccoli creatori e di come li abbiano originati. Nella divertente sequenza del “recruitment” Krasinski ci mostra la delicatezza di quell’ingenuità infantile fatta di piccoli ma grandi desideri, a partire dai bisogni più semplici e intriseci dei bambini (come l’IF con le sembianze di un bicchiere d’acqua creato da un bimbo del Kansas assetato), a quelli più grandi dove ci si immagina dei supereroi, investigatori privati e astronauta.
Quale limite potrebbe mai porsi nella mente di un bambino? Per Krasinski nessuno, se non quello della perdita totale del proprio Io infantile, di quella piccola parte di noi che ci lascia sempre un po’ col fiato sospeso, e speranzoso, con quel IF (se tutto è possibile?). Ed è proprio l’espulsione totale di quel frammento infantile che ci fa sprofondare nelle incombenze della vita adulta, dove tutto è più amaro e difficile da accettare senza quella mossa auspicante che possa farci dire “IF”. Per questo Coney Island diventa lo spazio sicuro dei sogni infantili, al riparo dalla frenesia e dai traumi del mondo adulto e, dove anche i grandi che accompagnano i piccoli alle giostre, possono ritrovare -e ricordare- tutti i desideri soppressi. E se è dunque vero, come ci lascia credere Krasinski, che le emozioni più sincere sono proprio quelle che riportano ai sogni e ai desideri infantili, queste torneranno ad emergere e ciascuno riuscirà finalmente a riunirsi con il suo di IF.
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