Il ciclo “Incontri sul futuro del cinema italiano” alla Festa del Cinema di Roma (presso il MAXXI) si sta confermando un appuntamento di reale interesse, dove si parla davvero di cinema da un punto di vista interno, con discussioni vibranti, accorate e partecipate (anche per quanto riguarda il pubblico, che sta accorrendo numeroso). Oggi si sono seduti intorno al tavolo sei fuoriclasse della regia italiana: Francesca Archibugi, Marco Bellocchio, Gabriele Mainetti, Susanna Nicchiarelli, Matteo Rovere e Paolo Virzì. Piera Detassis ha moderato l’incontro. Avendo già nel titolo la parola futuro, questa serie di incontri ha un chiaro obiettivo: analizzare il presente e ragionare sulle prospettive, le direzioni e le tendenze dell’industria cinematografica italiana.
Detassis ha posto una domanda semplice ma strategica, perché racchiude sfumature personali e sistemiche: cosa ti spinge a scegliere un progetto?
“Le strade sono molteplici – ha risposto Archibugi – mi è capitato di realizzare soggetti originali, altre volte mi sono stati proposti dei progetti, altre ancora si inizia con l’interesse verso un tema senza minimamente pensare che possa poi diventare un film. Ma poi si va a fondo e, piano piano, emergono delle storie, e ci si rende conto che è proprio il film che si voleva realizzare. Personalmente, poi, ho un’idea un po’ romantica: credo che le difficoltà, anche produttive, servano, perché possono spingere a fare meglio”.
“La scelta – ha invece dichiarato Virzì – è sempre un processo misterioso, che ha quasi a che fare con un elemento psichico di carattere patologico: di idee anche molto belle ce ne sono infinite, ma poi arriva quella che non ci riesce a togliere dalla testa, che ti tormenta. Ecco, di solito è quella l’idea giusta per realizzare un film.
“Mi sono resa conto – ha risposto Nicchiarelli – che spesso il processo di scrittura è un percorso di comprensione sul perché si sia scelto di realizzare quel film. Ci si trova ad analizzare i vari aspetti della storia, e capita che si mettano a fuoco dei processi, degli elementi che rendono chiaro cos’è che inizialmente ci aveva davvero colpito”.
“Le coincidenze – ha osservato Bellocchio – ci sono tante coincidenze che possono portare alla scelta di realizzare un film. Dalla mia lunga esperienza, posso dire che ciò che mi è riuscito meglio aveva qualcosa di davvero personale. Un legame con me, che non è necessariamente biografico, può essere qualcosa che ho visto o che ho letto, e che mi ha parlato in un modo speciale”.
“Personalmente – ha dichiarato invece Mainetti – devo trovare dei personaggi che siano un veicolo emotivo, qualcosa che mi tocchi delle corde specifiche. Quando penso a un progetto voglio che sia difficile, che porti sullo schermo una complessità, che sfidi dei limiti: mi ricordo che le prime volte in cui ho parlato di Freaks Out mi veniva detto ‘ma tu sei matto, è impossibile!. Ecco, io cerco quello’”.
“Sono in crisi dal 2019 – ha dichiarato a sorpresa Rovere – quando è uscito Il Primo Re, il mio ultimo film in sala. Da allora, con tutte le cose che sono successe, mi sono molto interrogato sul significato di portare i film in sala. Non ho più trovato stimoli produttivi, se non nella serialità. Trovo ipocrita non dichiarare la stato di crisi nel rapporto tra spettatori e sala, su questo c’è una riflessione necessaria che dobbiamo tutti tentare di fare”.
Gli incontri sul futuro del cinema italiano, che si svolgono al MAXXI, possono essere rivisti sul canale YouTube dell’Anica.
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