Niente sembra più lontana dal Ferragosto che l’idea di chiudersi in un cinema o piazzarsi davanti a uno schermo televisivo per godere di un film. Il giorno che spacca a metà il mese di vacanza per eccellenza è l’icona dell’uscita fuori porta, dell’abbandono totale al vuoto rovente di una gita al mare, di un picnic in montagna, di una grigliata in compagnia innaffiata di bibite gelate e condita di fette di cocomero come tanti, larghi sorrisi rossi.
Non tutti conoscono l’origine “latina” del dì di festa, la derivazione dalla locuzione latina feriae Augusti (riposo di Augusto): cioè una celebrazione voluta dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. per aggiungerla alle già esistenti Vinalia rustica, ai Nemoralia o ai Consualia in nome di un mese consacrato al relax e al riposo. A quei tempi non si festeggiava il 15, ma il primo di agosto. Fu solo in seguito, quando la Chiesa Cattolica prese potere religioso, che si traslocò a metà mese per farlo coincidere con il giorno liturgico dell’Assunzione di Maria. Infine fu sotto il ventennio fascista che si instaurò la tradizione popolare della gita, grazie ai cosiddetti “Treni popolari di Ferragosto” istituiti dal regime.
È chiaro quindi che questa anomala festività che cade già quando tutto il Paese è praticamente in ferie, sia connaturata al nostro DNA e riverbera senza soluzione di continuità fino ai nostri giorni.
Ferragosto è una vera festa popolare italiana.
E se noi ci dimentichiamo del cinema in quel giorno, il cinema non si può dimenticare di noi nella sua narrazione. Decennio per decennio vediamo come il cinema italiano dei maestri più o meno grandi ha raccontato il 15 agosto.
Cominciamo la nostra carrellata con un film uscito nell’inverno del 1950: Domenica d’agosto di Luciano Emmer. Alla sceneggiatura c’è anche il maestro Cesare Zavattini che contribuisce a trasferire l’esperienza neorealistica nella commedia di costume. Il cast è stellare anche se i vari Marcello Mastroianni (doppiato, pensate un po’, da Alberto Sordi), Franco Interlenghi, Ave Ninchi sono ancora alle prime armi. È la storia di un esodo di Ferragosto: da una Roma accaldata (già allora) una folla di ogni estrazione sociale e con ogni mezzo di trasporto si mette in marcia verso il lido di Ostia.
Undici anni dopo un altro film da spiaggia. Negli anni 60 questo sottogenere della commedia all’italiana ne vedrà sbocciare in gran quantità. In Ferragosto in bikini tra i lidi e la sabbia di Fregene il regista Mario Girolami racconta i primi amori, i tradimenti, le incomprensioni e ancora altro. E c’è uno scatenato Walter Chiari a tenere banco in mezzo a una serie di personaggi che dipingono una storia corale fatta di “quadri” più o meno interconnessi: un cavaliere pieno di debiti in compagnia dell’avvenente segretaria, un ex ufficiale della Wermacht in compagnia di un’amica occasionale, due ladruncoli, uno pseudo pastore protestante con la moglie, due giovani amici e un marito geloso. Tutti a trascorrere un Ferragosto al mare e a dipanare i fili aggrovigliati delle loro bizzarre vicende.
Il vero capolavoro ambientato in questa giornata particolare arriva l’anno dopo. È il 1962. Dino Risi – grazie alla complicità in scrittura con Ettore Scola e Ruggero Maccari e una coppia d’attori da Olimpo della recitazione, cioè Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant – dà alla luce uno dei più bei film della storia del cinema italiano: Il sorpasso. Una pellicola “on the road” avanti di anni rispetto a opere come Easy Rider e Thelma & Louise che ne riprenderanno stilemi e ispirazione. È la storia di Bruno Cortona, quarantenne guascone e donnaiolo che il giorno di Ferragosto convince Roberto, studente di legge rimasto a Roma, ad accompagnarlo a prendere un pacchetto di sigarette a bordo della sua auto sportiva. Sulla via Aurelia per il giovane aspirante avvocato avverrà un viaggio di iniziazione alla vita e, purtroppo per lui, anche l’incontro con un destino beffardo. Finale amaro voluto fortemente da Risi in contrasto con la produzione che non credeva sarebbe piaciuto al pubblico. In effetti Il sorpasso non ebbe una bella accoglienza dalla critica ed il successo del botteghino arrivò lentamente e grazie al passaparola. Solo negli anni ’80 il film di Risi venne rivalutato fino a farne un cult mondiale.
Passiamo agli anni 70 con un’altra pietra miliare della nostra storia cinematografica. Lina Wertmuller firma nel 1974 Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, ovvero il tema della “lotta di classe” declinato in una commedia grottesca e interpretata da due fuoriclasse come Mariangela Melato e Giancarlo Giannini. La storia è ormai entrata nell’immaginario comune, come gli insulti che lui, il rozzo marinaio siciliano Gennarino Carunchio, rivolge alla ricca borghese viziata Raffaella Pavone Lanzetti. L’azzurro mare d’agosto è in Sardegna, lungo la costa orientale nella provincia di Nuoro, dove su una piccola isola naufraga il gommone partito dallo yacht colmo di arroganti borghesi in traversata del mediterraneo. Qui i ruoli tra Gennarino e Raffaella si invertono facendo divenire la ricca signora schiava del marinaio che su di lei sfogherà tutte le sue frustrazioni sociali.
E siamo al 1980 con il delizioso esordio di Carlo Verdone alla regia di Un sacco bello, titolo preso in prestito dal tormentone diventato marchio di fabbrica di uno dei suoi personaggi di successo impersonati nel programma tv “Non stop”. Un sacco bello, prodotto nientedimeno che da Sergio Leone che fu mentore e presenza continua sul set, resta uno dei film più amati di Verdone, il quale dà corpo, voce e tic a tre caratteri nella Roma assolata e desolata di Ferragosto. C’è l’ingenuo e goffo Leo che fa la conoscenza della turista spagnola Marisol; il trentenne Enzo, perennemente senza amici e impegnato in uno scalcagnato “tour del sesso” in Polonia; e infine l’hippie Ruggero che incontra suo padre (interpretato dal mitico Mario Brega) il quale non si rassegna a vedere il proprio figlio in quei panni “ridicoli”. Verdone dirige la pellicola per “disperazione” e proprio su spinta di Leone, visto che non si trovava un regista disposto a farlo. Fu un colpo di genio. E il pubblico rispose alla grande, decretando un successo straordinario e spedendo Un sacco bello nel novero dei cult della commedia all’italiana
Stessa Roma deserta svuotata dal Ferragosto, ma approccio del tutto diverso per stile, genere e narrazione in Caro Diario di Nanni Moretti che nel 1993 conquista botteghino e critica (nonché il premio per la miglior regia a Cannes l’anno dopo) con il più noto dei suoi film. Delle tre parti di cui è composto – In Vespa, Isole, Medici – la prima è quella che caratterizza l’intera opera al centro della quale c’è però sempre il regista stesso. È sul mezzo che dà il titolo al primo episodio che Moretti affronta la Capitale nel giorno di festa, attraversandone i vari quartieri e riflettendo su aspetti vari della società e del cinema. Un viaggio su due ruote dalla Garbatella ad Ostia parlando di critica dei film e di Hollywood tra le altre cose, fino all’incontro con l’iconica attrice di Flashdance: Jennifer Beals.
Chiudiamo con Pranzo di Ferragosto del 2008. Ancora una volta un attore che è anche regista. Gianni Di Gregorio esordisce dietro la macchina da presa con un piccolo grande film, che scrive oltre ad interpretare. La storia è tratta da un fatto realmente accaduto: Gianni è un uomo di mezza età che vive da solo con la madre ingombrante, una nobildonna decaduta, in un appartamento nel centro di Roma. Non se la passano bene, così per saldare i debiti decide di ospitare in casa sua anche la madre dell’amministratore di condominio e la zia. L’allegra combriccola delle anziane non si esaurisce qui. Presto si aggiunge anche la mamma del medico di famiglia Marcello. Gianni ora deve gestire questo gineceo geriatrico (le cui interpreti sono tutte non professioniste) tra avventure grottesche e lampi di comicità pura, a causa della difficile convivenza tra persone così diverse. Pranzo di Ferragosto, girato in grande economia ma con una leggerezza poetica di chi è in stato di grazia, ha saputo conquistare critica e pubblico.
Metti piede a Berlino e ti scopri a pensare che qui la storia ha lasciato profonde cicatrici sul volto della città. Ferite rimarginate eppure che non smettono mai di evocare....
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