Hotel Rwanda


Un lunghissimo, commosso applauso ha accolto alla Berlinale Paul Rusesabagina. Non un attore o un regista, ma il direttore di un albergo a cinque stelle, intenditore di whisky e di sigari cubani, che, nell’aprile del ’93 riuscì incredibilmente, giorno dopo giorno, e totalmente da solo, a mettere in salvo 1.200 persone, soprattutto donne e bambini, che i guerriglieri Hutu volevano massacrare a colpi di machete. In quei giorni da incubo quasi un milione di Tutsi morirono, nell’indifferenza colpevole della comunità internazionale: l’Africa, si sa, non fa notizia. Ora quella storia dimenticata è diventata un film, Hotel Rwanda, candidato a tre Oscar, premiato a Toronto dal pubblico, presentato a Berlino fuori concorso, atteso come l’evento di questo festival dove tantissimo è lo spazio dedicato alle questioni africane a partire dal film di apertura Man to man di Régis Wargnier.
Hotel Rwanda, e questa è una buona notizia, è un film anche un po’ italiano, perché tra i produttori ci sono Luigi Musini e Roberto Cicutto della Mikado, che porteranno in sala la pellicola l’11 marzo prossimo.
Saranno magari aiutati da un Oscar, perché almeno una delle tre candidature (miglior sceneggiatura, miglior attrice a Sophie Okonedo, miglior attore a Don Cheadle) potrebbe trasformarsi in statuetta: Cheadle (Ocean’s Eleven, Traffic) soprattutto è bravissimo a dare credibilità all’eroismo inconsapevole e quotidiano di Rusesabagina, che difese strenuamente membri di un’etnia “nemica” a cui apparteneva anche sua moglie, in modo non violento ma con astuzia e con una fede incrollabile nella vita umana. Ma Paul, che oggi vive in Belgio, racconta che la sua vita e il suo animo sono cambiati profondamente: oggi non si fida più di nessuno, mentre allora faceva affidamento, come molti ruandesi, sul piano di pace e sulla presenza delle forze multinazionali dell’Onu.

Tornerà a Kigali il mese prossimo, per mostrare il film ai suoi connazionali: pare che il governo stia addirittura organizzando una proiezione in uno stadio. “Certamente lo prenderanno come un messaggio di pace ma anche come un monito alla responsabilità che noi esseri umani abbiamo”, dice. E attribuisce responsabilità anche alla comunità internazionale complice, afferma, del genocidio consumato in Ruanda.
Tra le presenze italiane del film, una coproduzione che coinvolge Gb e Sud Africa, Roberto Citran, nel piccolo ruolo di un prete, ma anche Andrea Guerra, autore delle musiche. “Musiche spiega il regista Terry George che vogliono creare nel pubblico una suspense che possa portare il più possibile vicini all’orrore di quei fatti, senza però mai mostrare la carneficina nei dettagli che sarebbero troppo cruenti e rivoltanti”.
Altre star internazionali nel cast: Nick Nolte è un ufficiale della forze di pace dell’Onu, Joaquin Phoenix è un giornalista televisivo testimone dell’orrore, Jean Reno il boss della catena alberghiera che cerca di fare il possibile per i profughi dell’hotel: da Bruxelles telefona addirittura al presidente francese, cercando invano di convincerlo a mandare militari a scortare la popolazione inerme.
Terry George, sceneggiatore premiatissimo di un film politicamente impegnato come Nel nome del padre, è irlandese e di guerre fratricide ne sa qualcosa. “Cercavo di fare un film sulla guerra civile in Liberia, poi mi sono imbattuto nella storia di Paul Rusesabagina e dell’Hotel des Milles Collines. E non ho potuto fare a meno di raccontarla”.

autore
12 Febbraio 2005

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