CANNES – E’ il giorno del secondo film, dopo Okja, oggetto delle feroci polemiche tra il festival, Netflix e gli esercenti francesi a proposito delle pellicole in concorso non distribuite in sala. Si tratta della commedia drammatica The Meyerowitz Stories (New and Selected) di Noah Baumbach, apprezzato autore indipendente americano per la prima volta in competizione a Cannes, e che riguardo alla collaborazione con il gigante dello streaming precisa: “Ho realizzato questo film come produzione indipendente e, naturalmente, con l’aspettativa di vederlo sul grande schermo. Netflix è entrato nel progetto quando il film era in post-produzione, ed è stato un intervento di grande aiuto che ho apprezzato molto”. Un cast d’eccellenza con Dustin Hoffman, Ben Stiller, Emma Thompson e Adam Sandler, che non è nuovo a ruoli drammatici e torna per la seconda volta sulla Croisette, a quindici anni da Punch-Drunk Love, e che offre qui una delle sue migliori performance. “Per un attore comico ricevere una parte come questa è un’esperienza incredibile – ha precisato – e il mio unico pensiero è stato quello di lavorare al massimo”.
Il film, suddiviso in più capitoli, ruota attorno a una famiglia bohémien e disfunzionale che si riunisce a New York per celebrare il patriarca (Dustin Hoffman), scultore in declino ed ex insegnante di college minore, che negli anni ha collezionato, quasi senza badarci, ex mogli e figli in crisi d’identità, perennemente alle prese con l’ingombrante confronto paterno. Dei suoi due figli, il maggiore Danny (Adam Sandler) è un ex musicista divorziato che nella vita non ha mai veramente lavorato ma che sembra essersi impegnato a fondo con la figlia adolescente; l’altro, Matthew (Ben Stiller) ha preso le distanze dalle inclinazioni artistiche della famiglia ed è diventato un business man di successo, scelta che però lo ha isolato dagli altri fratelli. Tutti i personaggi sono a loro modo realizzati nel loro ambiente, ma a livello personale si sentono dei falliti. “In molti miei film – sottolinea il regista – sono interessato al gap che c’è tra chi siamo e chi vorremmo essere, tra successo professionale e familiare. Mi piace indagare sul significato della realizzazione e sul diverso senso che può assumere per persone differenti”. E riguardo al confronto con l’immagine paterna: “Nel corso della nostra vita i rapporti con i genitori sono sempre controversi il rapporto con questa figura ingombrante può essere complicato, ma poi ad un certo punto dell’esistenza finiamo tutti per diventare come nostro padre”, interviene Hoffman che rivela di aver accettato subito il ruolo perché “la sceneggiatura era come una musica ben orchestrata, ogni singola parola era totalmente necessaria”. E sull’età che avanza il quasi ottantenne interprete ci scherza su: “Mi sento male ogni volta che qualcuno dice che è cresciuto con i miei film, vi prego alzi la mano chi è più vecchio di me in questa sala. Io avrei voluto interpretare uno dei due figli, quando ho letto la sceneggiatura mi sono detto: non voglio fare un altro vecchio”.
Nei panni dell’ultima, alcolizzata, consorte, Emma Thompson, che a proposito del tono del film in bilico tra commedia e dramma dice: “Il divertimento non è solo l’aspetto superficiale di questo film, riflette qualcosa di molto più profondo. Ognuno di noi del cast ha una grande esperienza con i ruoli brillanti, la commedia fa ridere e rende miserabili allo stesso tempo, come la vita. Questa non è solo una storia buffa, è anche molto toccante e la vergogna ha un ruolo importante: tutti i personaggi sentono di avere una colpa nel rapporto con gli altri, che riflette la loro tensione perenne tra affetto e rancore”.
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