Non è un horror ma una ghost story, una storia che affonda le radici in un modello classico, quasi scespiriano, i fantasmi e il loro interagire con gli esseri umani. Così Dame Helen Mirren vede La vedova Winchester, il film dei fratelli Michael e Peter Spierig (Saw: Legacy) in sala dal 22 febbraio con Eagle Pictures. La grande attrice britannica, premio Oscar per The Queen, oltre a un elenco interminabile di candidature e premi, è a Roma per parlare di come si è calata nel personaggio di Sarah Winchester. Una storia vera la sua, quella della vedova ed erede al 51% della più grande e famosa fabbrica di fucili americana che incontriamo nel 1906, quando vive praticamente reclusa nella sua casa di San José in California. Una dimora incredibile che venne costruita nel 1884 e ininterrottamente ampliata fino al 1922 arrivando ad annoverare sette piani con 500 stanze, 2.000 porte, botole, torrette, portici, 10.000 finestre, 47 caminetti e innumerevoli vetrate decorate con citazioni di drammi di Shakespeare. La leggenda vuole che Sarah Winchester, che aveva perduto il marito e la figlia tragicamente, fosse convinta di essere perseguitata dai fantasmi delle vittime di armi da fuoco costruite dall’azienda di famiglia. E il film racconta proprio la visita nella sua dimora di uno psichiatra (Jason Clarke) incaricato dai vertici della Winchester di indagare sullo stato mentale della anziana donna. Tra macabre apparizioni e sensi di colpa mai sopiti (che affiorano anche dal passato del dottore, dipendente dagli oppiacei dopo la morte dell’amata moglie) il film rispolvera l’armamentario delle storie di possessioni con alcune scene di forte tensione e altre più prevedibili oltre a una escalation finale.
Perché ha deciso di fare questo film?
Premetto che non ritengo questo film un horror, ma piuttosto una ghost story. E’ una narrazione classica che si usa da sempre. L’horror non mi piace, le storie di fantasmi sì. Perché l’ho fatto? Per vari motivi, innanzitutto mi piace lavorare con giovani registi e i fratelli Spierig lo sono, amo la loro energia. E poi perché è una storia vera. Anche la casa raccontata nel film esiste davvero e si può visitare. Sarah Winchester continuò per tutta la vita ad ampliare questa dimora notte e giorno. Viveva lì dentro, reclusa come un’eremita, era estremamente ricca. Si diceva che continuasse a costruire la casa per placare i fantasmi delle persone uccise dai fucili Winchester che la perseguitavano e perseguitavano la sua famiglia.
Lei crede nei fantasmi?
No, anche perché non ne ho mai visti finora. Ma credo nel potere incredibile dell’immaginazione umana, credo nella forza del credere. L’essere umano deve ancora fare un lungo viaggio alla scoperta delle potenzialità del suo cervello. Io sono agnostica ma rimango aperta alle scoperte e alle informazioni.
E’ mai stata nella Winchester House?
Sì, ho visitato la casa, è un labirinto dove dopo due minuti ti perdi. Tra l’altro Sarah era una donna minuta e quella casa è un po’ una casa di bambole. Su di lei non si sa molto. Sappiamo che, come la Regina Vittoria, alla morte del suo consorte decise di ritirarsi a vita privata. Portò il lutto per il resto della sua esistenza, indossava quasi sempre un velo nero sui capelli. Ma era piena di creatività e di energia e dedicò gran parte della sue qualità alla costruzione di questa dimora. Credo che fosse un personaggio estremamente affascinante.
Considera il film anche una critica alla proliferazione dell’uso delle armi in America?
E’ vero, l’America ha una cultura delle armi e non credo che sia eliminabile. I motivi secondo me sono soprattutto economici. Però non è prerogativa dell’America, in molti paesi del mondo sviluppato – Gran Bretagna, Cina, Russia, Germania, Italia, Francia – si fabbricano e vendono armamenti ai paesi in via di sviluppo, ai signori della guerra di zone in conflitto. Sono commerci che fruttano molto bene. Noi puntiamo il dito contro l’America ma siamo tutti coinvolti e tutti colpevoli. Poche settimane fa dei bambini nello Yemen sono stati uccisi da bombe fabbricate il italia. Detto questo, voglio sottolineare ancora una volta che questo film è puro intrattenimento, se poi conduce a una riflessione più profonda ne sono contenta, ma non è un film filosofico o politico.
Si aspettava una candidatura all’Oscar per Ella & John di Virzì? E’ delusa?
Sono molto orgogliosa di quel film, è stato bello lavorare con Paolo e non l’ho fatto certo per la nomination. Credo che sulla mancata candidatura abbia influito anche la decisione di farlo uscire a marzo, cioè dopo gli Oscar.
La pazzia le fa paura?
Al contrario, mi piace. I pazzi sono divertenti, parlo della pazzia come eccentricità, è qualcosa che cambia il mondo e lo fa andare avanti. Quello che mi fa paura, piuttosto, è il calcolo, la manipolazione.
Perché c’è voluto così tanto tempo per portare alla luce la questione delle molestie con l’esplodere del movimento #MeToo?
Il cambiamento culturale è lento, certe svolte richiedono decenni, un’intera generazione. Duecento anni fa le donne non avevano neanche diritto di parola, pensate alla condizione femminile dopo la prima guerra mondiale paragonata a quella odierna. I rapporti fra i due sessi hanno subìto un profondo cambiamento. Quello attuale è un momento vulcanico, la lava sta fluendo lungo le pendici del vulcano…
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