Si considera un regista iconoclasta, che non appartiene regionalisticamente a nessun paese latinoamericano. Forse di Hector Babenco (classe 1946), pluripremiato per Il bacio della donna ragno, si può dire che è “un brasiliano nato in Argentina”, riprendendo una sua espressione, sapendo però che le culture di questi due paesi sono differenti, se non opposte. La sua cinematografia, afferma, si è sviluppata su diversi versanti. Da un lato il dare visibilità agli esclusi e agli emarginati della società brasiliana crudele e violenta. Dall’altro la necessità di raccontare gli aspetti più intimi della nostra vita, come ne Il passato (Concorso), nelle sale dal 9 novembre con Mikado. il regista narra la separazione di una giovane coppia dopo 12 anni di matrimonio: il brillante interprete Rimini (Gael García Bernal) e la possessiva moglie Sofia (Analia Couceyro) conosciuta ai tempi del liceo. Una separazione che all’inizio sembra civile e indolore e che invece sconvolge le esistenze di Rimini e Sofia. Il passato parla di un amore finito che non muore mai dentro di noi, nonostante un nuovo rapporto amoroso e affettivo. Insomma la separazione vissuta come un lutto.
Ma c’è una via d’uscita? Basta mettere via le fotografie di quel tempo, come suggerisce ironico lo stesso Babenco: “A marzo di quest’anno ,dopo cinque anni di matrimonio, mi sono separato da mia moglie. Dopo qualche mese mi sono accorto che c’erano le sue foto in casa. Solo allora mi sono deciso a sistemarle in uno scatolone. Dunque la vita reale stava imitando il mio film”.
Come è arrivato al romanzo omonimo dello scrittore argentino Alan Pauls?
L’ho scoperto in una libreria dell’aeroporto di Ezeiza in Argentina e l’ho letto in un momento particolare della mia vita quando mia madre stava molto male. Da anni mi ero allontanato dalla famiglia, finalmente la rivedevo e ho fatto per lei tutto quello che lei aveva fatto quand’ero piccolo. Le ho dato da mangiare, l’ho lavata e coccolata. Quello di Pauls è un libro sulla permanenza dell’amore dopo la separazione di una coppia. Di solito una volta che ci si separa, non ci si dice più nulla, è come se tutto fosse morto.
In fondo il rapporto tra Rimini e Sofia somiglia molto a quello tra madre e figlio. Sofia vuole impossessarsi di quest’uomo, impedendogli di crescere ed essere autonomo.
Non avevo pensato a questa lettura del film che contiene un fondo di verità. Forse a suscitarla è il personaggio di Rimini, un uomo fragile e vulnerabile, un uomo all’antica, un giovane-vecchio. E’ Sofia infatti l’organizzatrice del rapporto e della separazione. Credo però che questa lettura sia un po’ limitativa, nel senso che il mio film ha una visione più ampia. Ma ciascuno è libero di sentire il film a partire dalla sua ‘chimica’, per lo spettatore il film è un’esperienza personale.
Non crede che la sua storia abbia a volte un sapore melodrammatico?
In verità ho rivisitato un genere latinoamericano per eccellenza come il melodramma. L’ho ripulito di tutto ciò che è eccessivo, conservandone la struttura essenziale. In questo genere narrativo la gelosia, l’abbandono, la vendetta, la piccola tragedia familiare stanno tutti insieme come una grande zuppa.
“Il passato” è solo la storia di una dipendenza emotiva?
E anche un film d’amore per le donne. Il suo tempo narrativo cinematografico è psicologico, nonostante la vicenda copra un periodo molto lungo, sembra invece concentrata in una sola settimana.
E’ anche una storia un po’ thriller, nella quale lo spettatore non capisce a volte che cosa stia accadendo, in fondo c’è un po’ di Rosemary’s Baby. E anche un po’ di Krzysztof Kieślowski. Mi chiedo anche se non ho realizzato un “Scene da una separazione”, vent’anni dopo Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman.
Perché ha scelto come protagonista l’attore messicano Gael García Bernal?
Credo nel destino. Era una giornata di crisi, il film non decollava, non sapevo chi sarebbe stato l’interprete. Ho aperto il giornale e ho letto che Gael era a Londra per uno spettacolo teatrale su Garcia Lorca. Sono subito partito per Londra, l’ho incontrato e gli ho detto della sceneggiatura del film, che non gliela avrei mandata via e-mail ma che avrei voluto leggerla insieme. E così è andata, sono andato a trovarlo in Messico. E poi Gael mi ha rivelato che all’età di 14 anni grazie a suo padre, che s’era separato dalla madre e spesso lo portava al cinema, aveva visto il mio Pixote.
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