CANNES – A un ex rapper, Anas (Anas Basbousi), viene affidato il compito, in un centro culturale situato a Sidi Moumen, a Casablanca, di seguire una classe di studenti per trasmettergli la cultura rap e hip hop. Il giovane uomo cerca di portarli a dare il massimo, senza essere mai accondiscendente, né dolce. Con quel suo modo di fare, seppur duro ma stimolante, Anas spera di ottenere dei risultati da questi ragazzi che hanno bisogno di vivere la loro giovinezza, di scatenare la loro energia, di rompere anche le vecchie tradizioni, per smuovere una società.
Con uno stile quasi documentaristico, pur trattandosi di finzione, Nabil Ayouch approda per la prima volta in competizione al Festival di Cannes con Haut e Fort (Casablanca’s Beats è il titolo internazionale). Il cineasta e produttore francese, di origini marocchine, classe 1969, guarda alla contemporaneità e alla libertà di una nuova generazione, di ragazzi e ragazze che vogliono esprimersi anche attraverso la musica. Guardando il film non può non tornare alla mente La classe di Laurent Cantet (Palma d’Oro nel 2008), con un finale che rievoca L’attimo fuggente, ma tutto è scandito da parole cantate che riguardano la vita, la politica, la società, l’amore.
Per Ayouch il suo Anas, che vediamo all’inizio del film alla guida della sua macchina perdersi nei bassofondi della città, è “una specie di cowboy che arriva in un territorio ostile e inesplorato. Non sa esattamente cosa troverà”. Anche lui, come i suoi allievi, sta cercando di trovare il suo posto nel mondo. Vuole esprimersi alla pari dei ragazzi. E il rap e l’hip hop accolgono questo desiderio ardente di parlare con gli altri. “Questo tipo di musica ci dà la possibilità di raccontare chi siamo, ma anche il mondo. Ci si esprime attraverso il canto, il corpo in movimento, le parole”, dice sempre il regista.
A esprimersi, in questa storia, non sono solo i ragazzi. Ci sono anche le ragazze, che sentono più forte la pressione familiare e sociale (in una scena una madre accompagna la figlia da Anas per dirle che non vuole problemi), e finalmente possono far sentire cosa hanno da dire, alto e forte come recita il titolo del film.
Ciò che Ayouch racconta in Haut et Fort è una realtà che conosce molto bene. Il centro culturale Les Étoiles è stato fondato nel 2009 proprio dal regista nel quartiere di Sidi Moumen. È lì che sono cresciuti quei giovani kamikaze che hanno commesso gli attentati del 2003 a Casablanca, raccontati sempre da Ayouch nel suo film del 2012 Les Chevaux de Dieu. “So che impatto possano avere la cultura e l’arte su un giovane. L’ho provato sulla mia pelle – afferma – Ho visto la differenza tra chi come me è rimasto affascinato alla cultura e chi, tra i miei amici, no. Non credo sarei mai diventato un regista altrimenti. Per questo sono convinto che questi luoghi permettano ai giovani di imparare a esprimersi e spingere altri coetanei a dire: posso farcela anche io”.
Consacrati al festival i talenti cresciuti nell’incubatore torinese e premiati 3 film sviluppati dal TFL, laboratorio internazionale del Museo Nazionale del Cinema che dal 2008 ha raccolto 11 milioni di euro di fondi internazionali
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