Negli anni Settanta, il decennio più cool da raccontare era quello degli anni Cinquanta. Grease fa il pienone a Broadway, American Graffiti arriva nei cinema e conquista milioni di spettatori e Happy Days diventa uno dei programmi televisivi più popolari.
Proprio Happy Days il 15 gennaio celebra i suoi 50 anni dalla messa in onda del primo episodio. Creata da Garry Marshall, la sitcom ambientata a Milwaukee ha fatto conoscere al mondo il liceale americano Richie Cunningham (interpretato da un giovanissimo ma già conosciuto Ron Howard) la sua famiglia e la sua stretta cerchia di amici, tra cui ovviamente l’amatissimo Fonzie.
“Tanti fan mi hanno scritto nel corso degli anni dicendomi che avrebbero voluto avere una famiglia come la nostra – racconta Marion Ross, che oggi ha 95 anni e che interpretava la madre di Richie – Eravamo una famiglia sia fuori dal palco che sul palco”.
Happy Days è andato in onda sulla ABC per 10 anni dal 14 gennaio 1974, appunto, al 1984 e nasce da un’idea di due dirigenti della stessa emittente televisiva: Tim Miller e Michael Eisner, diventato poi l’amministratore delegato della Disney dagli anni ’80 agli anni 2000.
Volevano uno show ambientato nei ruggenti venti, cioè un’epoca segnata dalle flapper (giovani donne note per la loro energica libertà, che abbracciavano uno stile di vita e un look vistoso considerato da molti come immorale o addirittura pericoloso, oggi invece definite come la prima generazione di donne americane indipendenti), dal proibizionismo, dall’invenzione del cinema parlato e, infine, dal crollo del mercato azionario che portò la nazione sulla strada della Grande Depressione.
Ma come ha dichiarato il creatore della serie Marshall al “The Guardian”:
“Dissi che non sapevo nulla di quell’epoca, ma l’avrei fatto se è ambientato negli anni ’50. All’epoca sarebbe stato difficile fare una rappresentazione onesta degli adolescenti senza mostrare droghe e alcolici, e noi non volevamo farlo. Rendendolo nostalgico, abbiamo evitato tutto questo. Quando ho prodotto l’episodio pilota originale, nessuno l’avrebbe comprato. I network dicevano: Chi se ne frega degli anni ’50?
Per fortuna è arrivato un film meraviglioso, American Graffiti, e la ABC ha detto: “Possiamo rifarci un po’ a questo”.
Happy Days è durata 11 stagioni, diventando così una delle serie più longeve della ABC. Ha generato degli spin-off a loro volta entrati nella storia della televisione, anche se non altrettanto durature e di successo: Laverne & Shirley o Mork & Mindy che lanciò nell’iperuranio della popolarità mondiale il compianto Robin Williams nei panni dell’alieno che saluta le persone con un movimento delle dita particolare le parole: Nano-nano.
Happy Days è anche noto per aver reso popolare nell’industry americana il termine che ha significato la fine dello show: Jumping the shark (saltare sullo squalo). Come spiegato da “Rolling Stone”, questa frase deriva da un episodio del 1977 in cui un Fonzie che faceva sci d’acqua saltava sopra uno squalo – un’acrobazia oggi considerata ridicola. Il termine si riferisce al momento in cui uno show, un tempo grande, si trasforma al punto tale da perdere la sua rispettabilità.
Chissà su cosa avrebbe saltato Fonzie se la serie fosse stata ambientata negli anni ’20!
Il creatore dello show voleva chiamarlo COOL. Il pubblico dei test però disse che faceva pensare alle sigarette, così il produttore Carl Kleinschmitt suggerì: “Che ne dite di chiamarlo Happy Days? Alla fine è quello che mostreremo: quando i giorni erano felici, spensierati”.
Ron Howard firmò il contratto per la serie per evitare di andare in Vietnam.
In verità colui che sarebbe diventato uno degli autori hollywoodiani più potenti della nostra epoca non voleva girare un’altra serie dopo quelle che gli avevano dato la popolarità nei primi anni settanta. Si era da poco iscritto alla USC School of Cinematic Arts con l’obiettivo di diventare regista. Tuttavia, aveva un piccolo problema che lo assillava: non concedevano più rinvii per la leva obbligatoria agli studenti universitari. C’era, però, la possibilità che Howard ne ho ottenesse uno per motivi di lavoro, se il suo impiego fosse direttamente collegato a quello di altre 30 o più persone. Fortunatamente la Paramount era una grande azienda con un numero sufficiente di dipendenti che sarebbero rimasti senza lavoro se la loro star fosse stata arruolata, così Howard firmò per interpretare Richie Cunningham. Anche se l’episodio pilota non fu venduto, Howard poté respirare dato che il Presidente Nixon aveva messo fine alla leva obbligatoria poco dopo la fine delle riprese di quella puntata.
Quando Henry Winkler ricevette la chiamata dopo la sua prima audizione per il ruolo di Arthur Fonzarelli, fu colto di sorpresa quando vide che l’altro concorrente era l’ex batterista dei Monkees: Micky Dolenz. Secondo Dolenz, Winkler gli confessò in seguito di aver pensato: «”Oh maledizione, c’è Micky Dolenz. Non ci riuscirò mai!”.
L’ex Monkee era la scelta originaria di Marshall per interpretare Fonzie, in virtù di una precedente apparizione di successo come motociclista in Adam-12. Ma Dolenz era troppo alto e sovrastava il metro e ottanta di Howard, per cui Winkler fu ritenuto più adatto.
Da bambino Winkler ha faticato a scuola, nonostante l’impegno profuso. I suoi genitori, di origine tedesca, gli avevano affibbiato un soprannome, dummer hund (“cane stupido”), che non aiutava la sua autostima. Gli fu diagnosticata la dislessia solo all’età di 31 anni. Quando fece il provino per Happy Days aveva solo sei battute, che inventò perché non riusciva a leggerle. “Questo non c’è nel copione”, gli fecero notare i produttori. Pensando con calma, Winkler rispose: “Lo so, ma vi sto dando l’essenza del personaggio e se avrò la parte la rifarò alla lettera”.
Il cast fu sorpreso un giorno del 1975 quando John Lennon si presentò senza preavviso nel piazzale della Paramount. Il figlio di John, Julian, era un grande fan dello show, così suo padre aveva deciso di portarlo lì per incontrare il cast. Come ha ricordato Anson Williams, che interpretava Potsie, Lennon era molto gentile e un po’ timido, ma firmò autografi e disegnò scarabocchi per vari membri della troupe e per gli attori. (Ma non per Williams o per le altre star: erano troppo disinvolti per chiedere a un’altra celebrità un disegno da conservare).
Fu la sorella di Gary Marshall, Ronny, a “scoprire” Robin Williams. Il giovane figlio del creatore della serie era un fan accanito di Guerre Stellari e aveva esortato il padre ad avere “gente dello spazio” in Happy Days, ed è così che fu concepito il personaggio alieno di Mork di Ork. Diversi comici, tra cui Dom DeLuise e John Byner, avevano rifiutato il ruolo e Marshall aveva difficoltà a selezionarlo. Sua sorella suggerì un comico stand-up che vedeva regolarmente esibirsi per strada, con il cappello per terra, in cambio di denaro.
“Perché dovrei assumere un tizio che viene dalla strada?”, le chiese.
“Beh, il suo cappello è sempre piuttosto pieno!” rispose Ronny.
Quando Williams si presentò per registrare l’episodio Il mio Orkan preferito, Winkler raccontò che la sua sfida più grande come attore era quella di mantenere la faccia seria mentre Williams partiva per le sue esilaranti tangenti.
Winkler non è particolarmente atletico, ma uno dei pochi sport in cui eccelleva era lo sci nautico, ed è così che è stato scritto il famoso episodio del “salto dello squalo”. Winkler ha fatto da solo tutti gli stunt nell’episodio Hollywood: Part 3, tranne che per il salto dello squalo vero e proprio. I produttori non volevano correre il rischio di far fare alla loro star una manovra così rischiosa. Tra l’altro, Winkler indossava una speciale giacca di pelle con la fodera rimossa per il suo giro sugli sci.
La mini serie debuttava il 19 dicembre 1964, in prima serata su Rai Uno: Lina Wertmüller firma la regia delle 8 puntate in bianco e nero, dall’originale letterario di Vamba. Il progetto per il piccolo schermo vanta costumi di Piero Tosi, e musiche di Luis Bacalov e Nino Rota
Il capolavoro con Gene Wilder è uscito il 15 dicembre 1974: mezzo secolo di follia e divertimento targato Mel Brooks
Il 14 dicembre 1984 usciva nelle sale un film destinato, molto tempo dopo, a diventare cult
Il 10 dicembre 1954 esplode il mito popolare di Alberto Sordi, l’Albertone nazionale. È la sera della prima di Un americano a Roma