L’operazione commerciale è piuttosto inusuale. Il produttore, Domenico Procacci, è anche distributore del film. E così Il partigiano Johnny, tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, edito da Einaudi, uscirà in 30 sale, il prossimo 17 novembre, “con una cura – parola di Procacci – e un’attenzione pari a quelle prodigate per la realizzazione”.
Un budget importante, affidato al regista torinese Guido Chiesa, classe 1959, specialista in Resistenza. Ha esordito nel lungometraggio con Il caso Martello, riflessione sulla rimozione dell’antifascismo dagli anni ’80, film resistenziale attraverso gli occhi di un assicuratore rampante, ha realizzato lavori sulle immagini di repertorio, interviste e documentarismo in Materiale resistente (con Davide Ferrario) e una vita di Beppe Fenoglio (Una questione privata) che gli ha garantito la fiducia della famiglia dello scrittore (scomparso nel ’63).
Questa volta i partigiani sono osservati attraverso lo sguardo del giovane Johnny, Stefano Dionisi (visita il sito). Un intellettuale ribelle, che ha scelto una strada difficile come quella della battaglia contro i fascisti sulle montagne delle Langhe, con coerenza. Il partigiano Johnny è stato presentato con successo ad Adua, Aquia, dove è stato girato, e a Modena, fortemente voluto dall’Istituto storico della Resistenza.
Qualche numero. Per il film sono state utilizzate 100 location, 1.000 costumi, 600 paia di scarpe, 500 divise, 500 tra mitra e fucili, 100 pistole, 10 mitragliatrici, 10 autocarri militari e civili e 20 auto d’epoca. Sono stati sparati 3.000 proiettili di cui 1.000 in partenza. Al film hanno partecipato 1.500 comparse, mentre i partigiani azzurri e rossi per la presa d’Alba sono stati 400. Altra fatica distributiva, il film verrà proiettato nelle scuole. “Sappiamo che non è una soluzione – precisa Chiesa – ma ci teniamo a che i giovani lo vedano il più possibile”. Già alla presentazione al cinema Quattro Fontane di Roma sono intervenute due classi dell’Istituto Einstein di Primavalle.
Lei ha dichiarato che il suo film si riallaccia al filone della Resistenza, ma con altri obiettivi. Quali?
Ho grande rispetto per i film del genere che mi hanno preceduto, da Paisà alla Notte di San Lorenzo. Ma io non volevo né cercare una verità né entrare in una polemica. La memoria storica si è perduta, così come determinate categorie di analisi. Io ho voluto realizzare un film su un ragazzo che sceglie di ribellarsi in un certo modo. Un film che chiunque potesse comprendere, anche senza certe coordinate storiche.
Conferma le scelte operate rispetto al romanzo di Fenoglio?
Sono convinto di tutte le scelte, fatte con Antonio Leotti, con cui ho sceneggiato il film.Certo, fare un film sui partigiani oggi significa comunque prendere una posizione nel dibattito sul revisionismo. Sono convinto che avrei potuto dare molti volti a questo prodotto, il romanzo è complesso, ma volevo fare un film su una parabola morale. Senza creare troppe confusioni.
Johnny è confuso. Oggi siamo confusi. Qual è la lezione morale per le generazioni attuali?
All’epoca bisognava scegliere, ma la maggior parte non ha scelto, come ci insegnano gli storici seri sulla Resistenza, non revisionisti, come Claudio Pavone. Oggi è ancora più difficile che allora. Io appartengo a una generazione che si è ribellata. Ai padri, alla cultura, alla scuola, alla politica. Oggi questo manca e non solo in Italia.
E a cosa dovrebbero ribellarsi i giovani?
Il gesto della ribellione in sé è già importante, carnalmente. Di ragioni ne vedo tante, basta guardarsi intorno. Bisogna scegliere, cioè impegnarsi. Avere un obiettivo e poi agire.
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