Radio Alice, l’anomalia selvaggia. La radio bolognese del maodadaismo e del rifiuto del lavoro, delle dichiarazioni d’amore e delle favole per bambini. Senza palinsesti né conduttori trasmise dal 6 febbraio ’76 al 12 marzo 1977, quando fu chiusa da un’irruzione della polizia. Guido Chiesa la racconta in modo obliquo in Lavorare con lentezza in concorso a Venezia 61.
Scritto insieme a Wu Ming, collettivo di scrittori bolognesi, e prodotto da Fandango, mette in scena una rapina col “buco” commissionata da un ricettatore intellettuale a due ragazzi di periferia. Sottoterra, nel tunnel, il “flusso creativo” dell’emittente diventa la colonna sonora dei colpi di piccone.
Sul sito ufficiale brani musicali, documenti e immagini.
Il film ha una genesi assai elaborata. Puoi raccontarla?
Ho cominciato a pensare ad un film su Radio Alice insieme a Procacci subito dopo Il partigiano Johnny. Sul tema c’erano molti libri teorici ma mancava materiale storico. Così ho realizzato le interviste ai fondatori dell’emittente poi raccolte nel documentario Alice è in paradiso. A quel punto però non avevo più voglia di centrare il racconto sulla radio e sul movimento del ’77. Lavorare con lentezza è diventato la messa in scena degli anni Settanta come liberazione oltre i cliché delle P38, delle stragi e del terrorismo. Riporta l’attenzione sulla felicità, qualcosa di cui nessuno parla più perché cancellata dall’orizzonte del profitto.
Il lavoro con Wu Ming?
Hanno demolito il mio egocentrismo demistificando il mito dell’Autore. Una lezione preziosa che vale anche per il cinema. Il loro affiatamento è straordinario, in riunione sembrano i fratelli Taviani. Al film hanno trasmesso l’anima più pop e ironica, ad esempio, l’idea della rapina è stata loro.
Rispetto ai tuoi film precedenti “Lavorare con lentezza” è un oggetto estetico singolare.
Il maodadaismo di Radio Alice mi ha influenzato. Cosa è il maodadaismo? E’ mandare in diretta una telefonata-burla ad Andreotti, è alzarsi la mattina e non andare a lavorare. E’ fingersi un attore ad un provino improvvisato come ha fatto uno dei nostri protagonisti.
Nel film gli uomini appaiono protagonisti della sovversione del linguaggio e degli stili di vita. Le donne, stranamente, sembrano più ideologiche.
Radio Alice era una comunità maschile che però si femminilizza. La parte migliore del movimento di quegli anni erano le femministe e, con loro, quella parte di uomini che rifiutavano l’idea del militante duro e puro. Ho messo in scena donne forti, un’immagine che negli anni successivi è stata associata delle donne in carriera.
Cosa è rimasto oggi della sperimentazione della radio?
Radio Alice è stata un’esperienza anomala rispetto ad altre radio libere come Città Futura di Roma e Popolare di Milano: lì c’era un gruppo che dettava la linea, a Bologna si sperimentava l’orizzontalità come in una chat line. Si anticipava la rete e non è un caso che oggi molti degli animatori della radio lavorino con Internet. Hanno avuto un’intuizione fondamentale: la comunicazione come terreno di scontro del futuro, la nascita di una nuova classe di operai intellettuali precari e flessibili. Così oggi il rifiuto del lavoro riguarda il sapere.
Nel film compare il volto del ministro Pisanu. C’è qualche allusione al presente?
Non ci interessava parlare dell’attualità politica. Certo, forse oggi non tutti sanno che Pisanu era già allora un esponente di primo piano della DC. Ma lo abbiamo scelto soprattutto perché ci serviva una dichiarazione comprensibile sul compromesso storico. Nel film c’è anche la voce di Aldo Moro che parla alla Camera in difesa di Gui e Tanassi per cui era stata richiesta l’autorizzazione a procedere per lo scandalo Lockeed.
C’è anche un cameo di Bifo.
E’ un omaggio con l’imperativo del silenzio. Per lui una sfida quasi impossibile. Bifo è uno studioso riconosciuto a livello internazionale eppure i suoi libri, importanti anche per la mia formazione, non circolano nella università italiane. Nessuno di Radio Alice ha fatto carriera. Molti di loro erano a Genova nel 2001 e a Roma a manifestare per la pace l’anno scorso.
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