GROLLE D’ORO 2000


Grolle lontane da Roma, quelle del 2000. Anzi lontanissime. Sangue vivo (tre premi: regia, produzione, musiche) viene dal Salento, è parlato in dialetto, cantato e ballato nei ritmi della “pizzica” che i musicisti del Gruppo Zoè hanno fatto rivivere anche nella serata dei premi, fra le malinconie di Enrico Ruggeri e la timidezza “morettiana” di Laura Morante.
sangue vivo C’è stato anche un convegno, ormai un classico della festa di Saint Vincent, organizzato dal Sncci, coordinato da Bruno Torri, animato da interventi critici ma non criptici. Morando Morandini ha aperto con una relazione sullo stato di salute (non così pessimo, come si è visto anche dalle Grolle) del cinema italiano, che Tamtam pubblica ora e che apparirà nel prossimo numero di “Cinecritica”.
Piera Detassis, direttore di “Ciak”, ha agitato gli animi (in platea cineasti, attori e produttori, ma anche spettatori di cinema) con cifre poco rassicuranti. Fanno calare l’audience i film italiani, almeno quando a decidere sono i 780.000 circa lettori (su 120.000 copie) del mensile Mondadori: iniziano a 11-12 anni, smettono verso i 35 di andare al cinema. Scrivono lettere e tantissime mail alla redazione, amano i divi americani. Cose risapute? Beh, qualche luogo comune da sfatare c’è: le recensioni restano la sezione più letta e apprezzata (o disprezzata). In più Pane e tulipani ha segnato una svolta. Dopo il film di Soldini l’interesse dei giovani lettori si è riacceso: I cento passi, Malena, La balia hanno suscitato pareri pro e contro. Resta il fatto, secondo Detassis, che “il cinema italiano non fa sognare, non smuove” e, soprattutto, non ha l’odore dei soldi tipico di Hollywood.
i cento passi Deprimente, dice qualcuno. Edoardo Winspeare ci scherza su: “vengo da Depressa, provincia di Lecce”. Eppure Sangue vivo è piaciuto. Anche all’estero. Anche in America: infatti andrà al Sundance. Sono tutti outsider gli italiani, senza epicentro. Ma almeno antiglobalizzazione.
Giuseppe Rocca, napoletano, che ha esordito in età non più tenera con Lontano in fondo agli occhi. Giorgio Treves che ha rischiato su una commedia dialettale, stavolta veneziana, che parla di costrizione femminile e lascia l’amaro in bocca. Si sentono isolati. Come il Paolo Rosa del Mnemonista: estraneo al meccanismo anche economico delle sovvenzioni.
Francesco Ventura, a nome del ministero, ammette la possibilità di spostare dai titoli di testa, dove sa tanto di burocratico, il logo della Repubblica, produttore di tante opere nostrane. Spera anche in un testo unico per leggi e regolamenti dispersi.
lontano in fondo agli occhi La qualità sale, ammettono tutti. Ma il botteghino scende. Il consumo di cinema nazionale è giù, al 14%, mentre Hollywood, che produce il 15% dei film mondiali, recupera l’82%, lamenta Torri. Beppe Attene, produttore-distributore indipendente, si associa: “Stream ha 700.000 abbonati, Tele+ perde un miliardo al giorno, l’esercizio passa dal boom dei multiplex alla chiusura di sale. E’ la società italiana nel suo complesso a vivere una crisi”.
Vero. Se i divi sono Pietro Taricone & co. Ma le voci contro non mancano. Pasquale Scimeca (autore di un intervento sul fondo di garanzia pubblicato da Tamtam e molto citato, anche recentemente da Tullio Kezich sul Corriere), che dedica la sua Grolla ai senza terra dell’America Latina, non si considera un isolato. E’ forte della sua cooperativa, la Arbash. Della sua visione di cinema, originale, radicata nei racconti dei cantastorie e nel cinema novo brasiliano. Della sua autonomia (ha rifiutato prestigiose offerte produttive per restare indipendente anche nel nuovo film, sui marrani di Sicilia). “Le due cose che ci assillano sono il mercato e l’idea di cinema che noi autori abbiamo. Io lavoro per il mio pubblico. Sono centomila persone? Va bene, senza complessi d’inferiorità”.

autore
19 Dicembre 2000

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