Ecco la seconda parte, decisamente più critica, dell’intervento di Morando Morandini al convegno organizzato dal Sncci a Saint Vincent
Mi dispiacerebbe che questo mio intervento apparisse come un’arringa in difesa del cinema italiano. Potrei confessarvi, per dirla brutalmente, che del cinema italiano m’interessa poco o niente: m’interessano certi film italiani e certi registi. Quasi tutti i 21 di “Cineforum” e qualcun altro che non c’è come Garrone e Zanasi.
Credo di conoscere i limiti del cinema italiano. La mancanza della dimensione tragica, per esempio. Nel n. 106 di “Segnocinema”, un’altra rivista che seguo, Flavio De Bernardinis scrive: “Il cinema italiano, con la notevole eccezione del Martone di Teatro di guerra, ha smarrito il rapporto con il tragico. Ci sono le tragedie, i misfatti e i crimini. Ma non c’è la collisione tra carattere e destino, ossia il tragico. Manca l’eroe, certo, ma chi fa sentire davvero la sua assenza è l’antagonista, l’avversario, il cattivo”. E aggiunge: “La cultura italiana, muro di gomma, mal sopporta il tragico”.
Tutto vero. Ma se mi guardo in giro, da Hollywood a Londra, da Parigi a Berlino, non è che m’imbatta spesso nel tragico.
Passiamo pure alla commedia, architrave portante del nostro cinema, fin dagli anni ’30, e domando: dove sono, nel decennio che si chiude, le commedie sul leghismo, sul berlusconismo, sulla corruzione, sulla deriva, il trasformismo e lo smantellamento della sinistra? Se si toglie il cinema di Ciprì & Maresco, dove sono i film apocalittici in Italia? Quando mai sceneggiatori e registi italiani si sono occupati di scienza, bioetica, biologia, neurologia: non sono argomenti che si prestano a drammi, melodrammi, thriller, commedie, satire?
Si obietterà che non siamo a Hollywood, ci mancano i mezzi. Parliamo allora di università. Non ho dati statistici a disposizione, ma non ritengo azzardato presumere che, tra sceneggiatori e registi italiani, almeno uno su due abbia frequentato, con o senza laurea, l’università. Un ambiente abitato da baroni, carrieristi, intrighi, maneggi, corruzioni, alleanze, competizioni, odi profondi, raccomandazioni, nepotismo. C’è materia sufficiente per qualsiasi tipo di commedia, senza contare che la maggior parte dei personaggi sarebbero giovani, dunque appetibili da un pubblico giovane. Quanti sono i film italiani di questo tipo? Mi vengono in mente soltanto due titoli: I sogni nel cassetto (1957) di Castellani che, poi, è una storia d’amore, e La cattedra (1991) di Michele Sordillo, recente autore, tra l’altro, di La vita altrui, film intelligente che nessuno ha visto e pochi hanno recensito.
Potrei continuare ma salto alla conclusione. L’immaginario del cinema italiano è limitato: un boschetto, non una foresta. Il che, però, non deve impedirci di apprezzare, in quel boschetto, gli alberi che contano.
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