“E’ una grande storia di dignità femminile, una donna dell’800 che riscatta se stessa”. Così la dolce e granitica produttrice dai capelli rossi Grazia Volpi, pugno di ferro e guanto di velluto, separata con un figlio, descrive la sua ultima creatura: Resurrezione. Il capolavoro per la tv scritto e diretto dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, tratto dal romanzo di Leone Tolstoj, andrà in onda su Raiuno in due puntate, lunedì 14 e martedì 15 gennaio alle 20,50.
Grazia Volpi, cresciuta a pane e cinema – iniziò a lavorare nella metà degli anni ’60, a soli 22 anni, divenendo ben presto organizzatrice generale di molti importanti film – si sente, giustamente, un po’ la “mamma” di tutta questa operazione. E’ stata lei a pensare a Stefania Rocca, con cui aveva lavorato in Rosa e Cornelia di Giorgio Treves, per il ruolo tormentatissimo della protagonista Katiuscia. E’ stata lei a proporre il film al direttore di Rai Fiction, Stefano Munafò; è stata lei a darsi da fare per trovare i co-produttori francesi e tedeschi (Pampa Production, France 2, Bavaria Film) che oltre a Rai Fiction-Filmtre hanno investito i capitali. E’ lo stesso Munafò a ringraziare “la bravura di Grazia Volpi e dei Taviani che hanno permesso questo importante ingresso nelle co-produzioni europee”. Resurrezione, girato lo scorso anno in 13 settimane tra San Pietroburgo, la Repubblica Ceca e quella Slovacca, è costato 11 miliardi di lire; 6 li ha messi Rai Fiction.
Grazia Volpi, lei e i Taviani siete ormai come una famiglia.
E’ vero. Sono anni che lavoro con loro. Come produttrice ho esordito nel 1975, per la cooperativa Aata, con Quanto è bello lu morire accisu di Ennio Lorenzini, dopo di che sono venuti tanti altri film, tra cui Il sole anche di notte, Fiorile, Le affinità elettive e Tu ridi dei Taviani. Anche il loro modello di lavoro è molto stile famiglia. E’ difficile realizzare una fiction europea di grande costo; il modello produttivo è abbastanza particolare. Qui per la prima volta abbiamo avuto anche il contributo per la distribuzione del Programma Media dell’Unione Europea. Credo che le grandi coproduzioni eruropee siano la strada del futuro. Ma per fare operazioni così servono autori importanti, vendibili all’estero.
Resurrezione sarà venduta all’estero?
Pensiamo di sì, andrebbe benissimo anche in sala. Intanto lo porteremo al nuovo Festival Italiano della Fiction che sta nascendo quest’anno a Venezia, a marzo-aprile. L’associazione dei produttori ci sta puntando. Lo scorso settembre è stato presentato fuori concorso al Festival Fiction di Saint Tropez e a dicembre al Moma, il Museo d’Arte Moderna di New York, a conclusione della rassegna di tutte le opere dei Taviani.
Perché ha pensato subito alla Rocca per Katiuscia?
Katiuscia è un’eroina moderna che si rende conto, già nell’800, di non avere bisogno assoluto di un uomo, pur essendone innamorata. E’ moderna, intelligente, piena di dignità, in grado di capire che un principe non può avere figli da una prostituta. E poi, tornando a Stefania, mi piace lavorare con le persone che amo.
Quale è la sua “linea editoriale” come produttrice? Sembra avere un occhio speciale per le storie al femminile.
Mi innamoro delle cose, sono istintiva. Ed essendo molto poco presuntuosa non penso di avere una linea editoriale. Amo lavorare con registi che stimo, con cui mi trovo bene, e con attori coi quali si può collaborare. Ma prima di tutto che piacciano a me!
Sta crescendo il numero di donne che intraprendono la carriera di produttrici cinematografiche e televisive: sono agguerrite e non sbagliano un colpo!
E’ vero, oggi sono diverse rispetto a quando ho iniziato negli anni ’60. Le donne sono più brave e particolarmente adatte al ruolo di produttore, che è un po’ quello di una mamma, attenta a tutto. Le donne sono accorte, lavorano di più, sono meno presuntuose degli uomini.
Ci riveli un pro e un contro della sua professione.
I grandi momenti di soddisfazione che ti dà un film, dall’inizio alla fine, si trovano in pochissimi altri lavori. E questo è il pro. Il contro è forte: questo lavoro ti toglie la vita privata, sei impegnata mattina e sera, hai la testa da un’altra parte. Hai debiti, che sono il tuo tormento quotidiano. Io investo soldi miei, non lavoro in appalto: di notti insonni ne passo molte.
Intanto ha già nel cassetto un nuovo progetto televisivo con i Taviani, una miniserie-evento in due puntate tratta da un romanzo di Dumas…
Sì, si tratta di Luisa San Felice, ispirata al romanzo di Dumas, un grande personaggio storico della rivoluzione napoletana del ‘700. E’ un progetto molto costoso, perché non si concentra solo sui personaggi ma racconta tutta la rivoluzione. Stiamo cercando di mettere su una coproduzione Francia-Germania da non meno di 15 miliardi. E’ comunque anche una grande storia d’amore. I Taviani non hanno ancora scritto la sceneggiatura: finché non sono convinti che tutto funziona non partono. Sapessi quante sceneggiature hanno buttato!
Progetti per il cinema?
Purtroppo nel momento in cui stavamo per partire con Afrodita dal libro della Allende, è scoppiato il finimondo in Argentina e ci siamo fermati.
Che ne pensa dell’attuale situazione del cinema italiano?
Penso che noi produttori siamo eroici! I soldi spesi spesso non rientrano. Per fare cinema bisogna amarlo molto, si vive di soddisfazioni. Ma è un discorso complesso perché anche avendo soddisfazioni e successi capita spesso che un film buono non trovi mercato. La strada da fare è molta, il momento è ancora difficile. Per fortuna esistono anche associazioni come “Italia Cinema”.
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