Il capolavoro dell’orrore diretto da Pupi Avati, ambientato tra l’entroterra ferrarese e il delta del Po, continua a destare interesse al punto da essere considerato un cult. Questo è sorprendente, considerando che il regista bolognese non ha mai nutrito particolare affetto per quel lavoro e ha preferito altri film suoi definiti “gotici padani”.
Tuttavia, questo dettaglio non è rilevante. La Casa dalle finestre che ridono rimane un film cult ancora oggi. Ma come è stato possibile ciò? Da dove proviene la sua inconfondibile atmosfera “maledetta”?
Per rispondere a queste domande, Roberto Leggio e Gabriele Grotto hanno intrapreso un viaggio alla ricerca dei luoghi in cui il film è stato girato, cercando di trovare spiegazioni.
Buono Legnani, il pittore pazzo, è un personaggio di fantasia o è veramente esistito, gettando un’ombra di mistero su quei luoghi? Perché persone comuni hanno plasmato il loro futuro e le loro passioni dopo aver visto la pellicola? Qual è la motivazione che spinge appassionati del film a visitare quei luoghi… E perché ancora oggi evocano terrore e mistero? Unendo realtà e fantasia, intrecciando le parole di Avati stesso, di scrittori e giornalisti, i due registi hanno creato un intreccio di risposte e congetture, cercando di consolidare il mito di quel film e di giocare con la magia del cinema in ogni modo possibile.
Gotico Padano – sulle tracce di Buono Legnani il pittore delle agonie uscirà nelle sale in un tour che partirà da Roma e toccherà diverse città del nord Italia.
“Gotico Padano è un documentario, ma è anche un film – spiegano i registi – Un ibrido metacinematografico come è la natura leggendaria di Buono Legnani il pittore pazzo che fa da motore agli orrori della Casa dalle finestre che ridono. Diventato un cult nel panorama di genere del cinema italiano, il film di Pupi Avati ha risvegliato la voglia di paura e mistero legato ai panorami del delta del Po ferrarese. Buono Legnani è un personaggio inventato oppure è esistito veramente? Come tutti i miti e le leggende, la figura del pittore delle agonie ha dato vita ad un cortocircuito. La verità è riposta nelle parole dei fans che vorrebbero che il terrore e la paura che ha suscitato in loro quel film non finisca mai…”
“Volevamo sapere esattamente perché i fan andassero alla ricerca dei luoghi dove è stato girato il film – proseguono gli autori – Abbiamo conosciuto uno di loro, Gabriele Ravaglia, che si è fatto ricostruire la casa in scala da uno scenografo di Cinecittà. Ha più di cento edizioni diverse del film in dvd e Blu Ray. Da lì siamo partiti. Il documentario ha avuto una lunga gestazione anche a causa del Covid, la chiave di volta è stata conoscere un’antropologa, Valentina Baraldi, che ha individuato nella figura dei fratelli Legnani un corrispettivo nella realtà: i Lesani, che hanno dato il via a una leggenda locale. Siamo partiti con un puro documentario, nessun altro horror italiano presenta un seguito tanto maniacale e vasto a livello generazionale. C’è ancora molto da indagare e quindi questo abbiamo fatto: un’indagine. Senza una traccia predefinita ma immedesimandoci soprattutto negli ammiratori dei film. Poi da lì sono accadute cose apparentemente casuali, degli incontri, che hanno dettato una linea narrativa. Nel corso della realizzazione la finzione e la realtà continuavano a compenetrarsi a vicenda. L’ex manicomio infantile di Aguscello, luogo esistente di cui oggi restano ruderi, è un ricettacolo di mistero, pare che ancora ci si facciano messe nere. E un bambino pittore vi era realmente ospitato”.
Il doc prende ovviamente in considerazione il punto di vista di Pupi Avati, che partecipa con un’intervista: “L’approccio con lui – aggiungono i registi – si è basato un teaser trailer che gli abbiamo mandato. Non sapevamo che anche il nostro film sarebbe diventato un horror. Lo ha trovato interessante, poi c’è stato il Covid e dopo un anno siamo riusciti a incontrarlo. E’ stato disponibile, ma lo conosciamo da molto tempo. Non sappiamo se lui ne sappia di più di quanto ne sappiamo noi, sinceramente. Gli interpreti invece non è stato possibile raggiungerli: Francesca Marciano era in America, Gianni Cavina stava molto male e con Capolicchio abbiamo provato a parlarci ma non siamo riusciti a concretizzare prima che purtroppo ci lasciasse”.
Franco Mariotti, figura di spicco dell’ambiente cinematografico italiano, giornalista, critico e noto organizzatore di eventi, fa da “ambasciatore” per Avati in conferenza: “conosco gli Avati dagli esordi con Balsamus, perché il mio redattore capo era impazzito per il film, lo trovava sanguigno e interessante. E’ curioso che Avati si dedichi al mondo dell’horror e del gotico padano essendo invece cresciuto in un’Emilia piena di vita. Sono cristiani, educati, umani, parlano con tutti, Pupi risponde sempre a tutte le lettere e a chi gli chiede informazioni. Produce costantemente da sessant’anni insieme ad Antonio, ogni genere di film, biografie (si pensi a Dante), commedie… i suoi film vanno giudicati con occhi profondi e attenti e non superficiali”.
“In effetti – dichiarano i documentaristi – in una prima fase di scrittura volevamo andare oltre La casa dalle finestre che ridono, spostarci sul mare per analizzare Zeder… sarebbe venuta fuori una serie. Ma questo film ha dato il la a tutto un filone. E’ uscito un anno dopo rispetto a Profondo rosso. Paradossalmente La casa… è più presente nell’immaginario dei giovani”.
Nel doc c’è anche un po’ di fiction, che rende tutto più fruibile e affascinante: “Come dicevamo parte come documentario e sfocia nell’horror. Abbiamo dovuto ricostruire alcune cose – specificano – perché non avrebbero funzionato in maniera narrativa se le avessimo riportate letteralmente: ad esempio la telefonata con il gestore della chiesa abbandonata, che ci impediva di accedere, abbiamo ricostruito la scena di una vittima appesa per le mani, mentre il video del gruppo Babau ci è stato inviato. Naturalmente è ricreata l’infanzia di Buono Legnani, l’ambientazione del manicomio, e l’intervista con la presunta infermiera, di cui abbiamo dato una nostra interpretazione. Poi la scomparsa dei due fidanzati in una delle location del film, vero mistero che si è verificato mentre stavamo facendo le nostre ricerche. Abbiamo anche cercato di capire chi fossero, ma non siamo riusciti ad andare oltre un articolo di giornale. Introdurre brevi spezzoni ricostruiti ci ha permesso di fare da ponte. L’antropologa invece è una vera antropologa locale, ha scritto anche due libri, ma il paradosso è che sembra impostata perché ha fatto anche l’attrice”.
Una curiosa leggenda narra che sia stato Giuliano Montaldo ad abbattere la “casa con le finestre che ridono”, che oggi non esiste più. Questo perché la location doveva essere usata per L’Agnese va a morire, ma Avati ci aveva disegnato le bocche sulle finestre, e quindi non poteva più usarla. “Abbiamo parlato con Montaldo e ha confermato – è la risposta del duo – ma non sappiamo se l’abbia fatta veramente abbattere per la rabbia”.
“Ad Avati non abbiamo chiesto direttamente se Legnani fosse un personaggio reale – chiudono i registi – perché altrimenti avremmo fatto crollare la mitologia attorno al personaggio. L’ultima immagine del nostro film è un cassetto chiuso, segno della permanenza di un mistero”.
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