TASSARE LE PIATTAFORME. “Per il mondo del cinema e del grande schermo siamo di fronte alla tempesta perfetta. La pandemia e il lockdown hanno accelerato in maniera esponenziale il video on demand. E la bolletta di fuoco ha messo ko gli esercenti che hanno già pagato mutui e affitti durante la chiusura per l’emergenza sanitaria”. E’ quanto scrive Fiorina Capozzi su ‘Verità & Affari’. Nello stesso articolo, la giornalista ha raccolto la proposta di Manuele Ilari, presidente dell’Unione Esercenti Cinematografici Italiani e titolare della multisala Madison di Roma, che dichiara: “La questione è molto semplice: in questi anni di lockdown e pandemia ci sono imprese che hanno macinato fatturato e utili. Sono le piattaforme che non pagano tasse in Italia e non hanno dipendenti. Basta tassarle del 5% e tireremo fuori per magia almeno 500 milioni di euro da mettere a disposizione di un presidio cultural. Alle casse pubbliche non costerebbe nulla”. E a proposito degli interventi di sostegno per le sale messi a punto in questi giorni da un apposito decreto ministeriale, Ilari commenta: “Il tax credit non è più sufficiente perché le aziende sono ormai in crisi di liquidità. Sono due anni che non lavoriamo. Nessuna impresa che non lavora può sostenere né mutui, né affitti che non sono mai stati sospesi”.
VITTORIO STORARO & WOODY ALLEN. Su ‘Il Corriere della Sera’, intervistato da Giuseppina Manin, Vittorio Storaro, che sarà il direttore del prossimo, imminente film di Woody Allen, smentisce implicitamente la notizia che il regista americano stia per abbandonare il cinema. “A Woody Allen -afferma Storaro- piace raccontare, è troppo curioso di vedere come si dipanano le sue storia, di sperimentare nuove tecniche. Per questo film sto utilizzando l’HDR High Dynamic Range, un sistema già richiesto da Amazon e Netflix, che permette di mostrare con 4K e 16 Bit qualcosa come 200 miliardi di sfumature di colore. Al momento tutti i proiettori del mondo, compresi quelli di Cannes e Venezia, possono proiettare immagini solo il 4K e 12 Bit, 77 milioni di sfumature. Ma nuove frontiere sono in arrivo. Io e Woody stiamo lavorando per il cinema del futuro. Due ottantenni, io 82 lui quasi 87, che si divertono come ragazzacci”.
LA CENSURA NEL MONDO E’. ‘Il Foglio’ con un articolo di Giulio Meotti a raccontare le vicissitudini di Jihad Rehab, documentario di Meg Smaker sulla storia di quattro ex-detenuti di Guantanamo inviati in un centro dell’Arabia Saudita per disintossicarsi dal radicalismo islamico. Il film era stato selezionato dal Sundance Festival ed aveva ottenuto critiche quanto mai favorevoli. “Ma successivamente – scrive Meotti – registi arabi e mussulmani e i loro sostenitori hanno accusato Smaker di islamofobia e propaganda americana. Alcuni hanno suggerito che la sua razza fosse squalificante perché una donna bianca non dovrebbe raccontare una storia di uomini arabi”. Sta di fatto che, in seguito a queste proteste, Jihad Rehab è stato cancellato da festival, a cui era già stato invitato, ed è diventato praticamente invisibile. Il vero scandalo- conclude l’articolo in questione- è il fatto che una regista bianca abbia realizzato un film intelligente che parla di islam.
I CINEASTI PERSEGUITATI. E a proposito di persecuzioni nei confronti della libertà e della cultura, una storia, che si potrebbe definire a lieto fine, è quella di Yaqoor Shah Nassari, attore, regista e giornalista afgano, raccontata su Il Corriere della Sera da Andrea Pasqualetto. Quando i talebani hanno preso il potere, per evitare di essere ucciso, come altri suoi amici e colleghi, Nassari è stato costretto alla fuga, vagando per villaggi e montagne, travestito da pastore. Il racconto di Nassari sembra un film: “Quando sembrava persa ogni speranza si sono aperte alcune porte. Francia e Germania avrebbero accolto solo me. L’Italia invece ha accolto anche mia moglie e i nostri figli. A fine luglio siamo coì scesi dalle montagne tutti insieme e siamo andati all’aeroporto di Kabul, dove ci aspettava un aereo per l’Iran e poi per Teheran. Siamo rimasti chiusi in una stanza per quarantuno giorni in attesa di un visto per rifugiati, che è arrivato poco prima della scadenza. Poi saremmo diventati clandestini. Siamo così potuti partire. Una grande liberazione”.
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