CHE FESTA È STATA? Su diversi quotidiani appaiono già oggi i primi bilanci sulla 17° edizione della Festa del Cinema di Roma. “Alla sua prima edizione – scrive Andrea Martini sul Sole/24 Ore – il duo Gian Luca Farinelli, presidente, Paola Malanga, direttrice, ha abbandonato la sperimentata cittadella di Antonio Monda per un progetto diverso, più aperto alla metropoli, più incline a sostenere l’industria nazionale. Se n’è già vista traccia nella proposta di Freestyle, sezione onnivora nella cui rete possono rimanere impigliate opere altrimenti senza storia. (Una per tutte: La California di Cinzia Bomol). Anche a Roma, come già altrove, molto cinema ha dimostrato di guardare alla fotografia non solo per attrazione nostalgica, ma per reale attenzione ad un’arte che ha perso identità nella rivoluzione digitale”.
Su Il Corriere della Sera Paolo Mereghetti scrive: “La formula (di quest’anno ndr) avrà bisogno di qualche messa a punto, soprattutto per la sovrabbondanza di titoli che hanno finito per farsi concorrenza l’uno l’altro. Così come la presenza di ben 47 opere italiane nelle varie sezioni non sembra il mezzo giusto per favorire il ritorno del pubblico in sala (compito che neppure Venezia sembra riuscita a soddisfare). Resta comunque l’ombra di quel peccato originale che nei suoi diciassette anni di vita ha sempre tormentato la Festa, tra ambizioni egemoniche e tentazioni elitarie, tra cinefilia e popolarità, condannando la manifestazione ad un inevitabile confronto con gli altri festival mentre cercava di inseguire una sua difficile differenza. Certo, i cinque mesi a disposizione per realizzare questa edizione sono una giustificazione più che valida per spiegare certe sbavature: l’augurio è che con più calma, la Roma del cinema trovi finalmente la sua strada”.
Anche Federico Pontiggia su Il Fatto Quotidiano denuncia un eccesso di offerta nazionale: “Il gladiatore Russell Crowe a brillare tra gli esigui ospiti stranieri e tanto, troppo audiovisivo italiano (per altro snobbato in palmares). Vai a capire se la XVII Festa del Cinema di Roma si archivi in difetto artistico o in anticipo sulla nuova ondata sovranista. Qualche buon titolo, dall’inedito La stranezza di Roberto Andò al canadese Boy from heaven di Tarik Saleh, e abbrivio al Colibrì in sala, la conferma che il documentario se la passi meglio della finzione e che la serialità ha vocazione maggioritaria, ma non è stata Festa. Anziché reintrodurre il Concorso, sarebbe stato meglio introdurre le star, una Hollywood sul Tevere temporizzata per soffiare le candeline”.
LA LUPA D’ORO A JANUARY Avvenire con un articolo di Alessandra De Luca dà spazio al vincitore del concorso: January di Viesturs Kairiss, premiato anche per l’interpretazione di Karlis Arnolds Avots, sottolineando i temi affrontati dal film del regista lettone: “L’arte che aiuta a vivere e trovare se stessi, la ricerca dell’identità personale e di quella nazionale, la resistenza non violenta contro l’oppressione de regime comunista, i sogni di una generazione che guardava a Ingmar Bergman e Andrej Tarkowsij, Jim Jarmush e Werner Herzog”.
LE MEMORIE PRIVATE E QUELLE COLLETTIVE Ospite della Festa del Cinema, la scrittrice francese Annie Ernaux ha presentato Les Annés Super-8, montaggio dei filmini familiari realizzati dal marito fra gli anni ’70 e ’80. Su Il Quotidiano Nazionale, l’articolo di Chiara Di Clemente riporta in proposito le riflessioni della Ernaux: “rivedendo i nostri filmini mi è venuto in mente che costituivano non solo un archivio di famiglia ma anche una testimonianza dei gusti, dello stile di vita e delle aspirazioni di una classe sociale nel decennio successivo al 1968”. E poi, a proposito del suo rapporto con il cinema, la scrittrice ha aggiunto: “I vostri film sono fra quelli che più mi hanno segnato. Penso al Posto di Olmi, La strada di Fellini, Ballando, ballando di Scola, che mi ha profondamente ispirato per lo stile de Gli anni. Il cinema francese l’ho trovato spesso troppo al di sopra delle cose che raccontava e troppo parlato. Mi sono resa conto di quanto, invece, il cinema italiano parlasse attraverso il realismo”.
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