L’IMPORTANZA DEI FESTIVAL
Prende oggi il via il Torino Film Festival e su ‘La Stampa’, sia sull’edizione nazionale, che su quella locale, inserti compresi, ampio spazio è dedicato alla manifestazione. Ma il TFF offre anche l’occasione per qualche riflessione sulla situazione generale del cinema e sulla funzione dei festival. Se ne fa interprete in un’intervista Alberto Barbera, ripercorrendo la storia della kermesse e soffermandosi in particolare sui cambianti avvenuti nel corso degli anni. Afferma l’attuale direttore della Biennale Cinema: “C’è troppa isteria attorno alla questione del cinema in streaming. Il problema esiste e non voglio sminuirlo, ma siamo in un periodo di transizione di cui è difficile ipotizzare la fine e il punto di caduta. Ci sarà un riassestamento nel sistema delle sale, ma sono sicurissimo che il grande schermo non scomparirà. I festival avranno sempre il ruolo di mantenere in vita e alimentare quel desiderio di cinema dal vivo, rimanendo un momento di festa per tutta la comunità degli appassionati di cinema”.
ALLA RICERCA DI GESU’
Fra i titoli più curiosi e più attesi del Torino Film Festival è Il Cristo in gola, che sarà proposto fuori concorso nella giornata inaugurale. Se ne occupa su ‘Avvenire’ Alessandra De Luca, raccontando che si tratta di un film dove Cristo fa miracoli con la forza della disperazione e costruisce la propria croce. Insomma, un film che si inoltra su terreni narrativi impervi e scivolosi per riflettere sulla dolorosa percezione dell’assenza di Dio. Intervistando l’autore ed attore Antonio Rezza, la giornalista gli ha chiesto perchéabbia deciso di raccontare in questo modo la storia di Cristo. “Ho una laurea in storia delle religioni -è la risposta- e le religioni mi hanno sempre affascinato. Ho avuto un’educazione religiosa, i miei genitori sono credenti, ho frequentato le elementari dalle Stimmatine. Mi interessava rendere omaggio a Pasolini e la prima parte del film è speculare al suo Il Vangelo secondo Matteo. Ma Il Cristo in gola mi è sfuggito di mano quando ho cominciato ad interpretarlo e questo è l’elemento di cui vado più fiero: l’attore, che tradisce l’autore, un despota”.
UN NUOVO GENERE: LA FANTAMAFIA
Ancora proposito di opere inconsuete, sull’inserto del ‘Venerdì’ de ‘La Repubblica’ con un articolo di Alberto Piccinini l’attenzione è rivolta a The Bad Guy, serie tv di Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana con protagonista Luigi Lo Cascio nel ruolo di un ex magistrato accusato di essere affiliato alla mafia. “Si tratta –scrive il giornalista- di un precipitato di realtà e finzione, un oggetto bizzarro, dove si riconoscono pezzi di cronaca vera e luoghi comuni di una delle industrie più fiorenti del made in Italy: i film di mafia”. Quindi nel pezzo, Piccinini rivolge una domanda agli autori per chiedere se The Bad Guy sia una parodia dei film di mafia o una commedia fantapolitica e Stasi risponde: “La puoi chiamare fantamafia. Abbiamo cominciato a parlare con gli sceneggiatori, Ludovica Rampoldi e Davide Serino, tre anni fa. Una parodia no, non direi, l’intento era quello di costruire un mondo che fosse credibile, avesse caratteristiche fra la realtà e il grottesco, ma si distaccasse un po’ dalla mitologia della mafia. Cioè non volevamo fare dei criminali mitologici, volevamo ridurli allaloro natura più farsesca e sgangherata. Per questo la famiglia contro cui il protagonista Nino cerca la sua vendetta gestisce un acquapark ed è quasi ridotta in rovina”.
JONAS MEKAS: CHI ERA COSTUI?
‘Il Foglio’, con un articolo di Furio Zara, disegna un ritratto di Jonas Mekas (1922-2019), utile per conoscere un artista poco noto in Italia, un cineasta, ma non solo, che, come indicato nell’occhiello dell’articolo, ha inventato il cinema indipendente e una serie di immagini che la New Hollywood copiava spacciandole per sperimentazione. “Un Picasso con la cinepresa in mano e una nuvola di fantasie in testa -è identificato Mekas nell’articolo in questione- il padre putativo dell’Andy Warhol che predice la società dell’immagine e delle elettre lamborghini che decenni dopo vanno a rappresentarla su YouCam Perfect… Jonas Mekas è stato un’orchestra jazz riassunta in un solo uomo, un antropologo alla ricerca di frammenti a cui dare un significato. L’evidenza di tutto il suo cinema si risolve in uno sguardo che fissa un mondo in movimento e nel farlo svela l’autenticità del proprio mistero: in ogni frammento brilla il luccichio di una fiducia infinita, quella dei bambini che vanno per il mondo con l’anima sulle labbra”.
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