LA SCOMPARSA DI LANDO BUZZANCA In una giornata, il lunedì, in cui lo spazio delle pagine spettacolo è tradizionalmente ridotto, è la scomparsa di Lando Buzzanca ad avere monopolizzato l’attenzione di tutte le testate. La notizia è richiamata in prima pagina da “Il Corriere della Sera“, “Il Giornale“, “Il Mattino“, “Il Messaggero“, “La Repubblica” e “La Stampa“. “Un uomo comune con un sorriso da sciupafemmine che tutti amavano” è il titolo, insieme esplicativo e quasi poetico, dell’articolo di Pedro Armocida su “Il Giornale“, che scrive: “Buzzanca ha incarnato il merlo maschio, lo stereotipo del macho siciliano che va sempre dietro alle sottane, seduttore e stallone, che, sì, farà la fortuna dell’attore, ma sarà anche la gabbia in cui il cinema italiano lo rinchiuderà. La critica, non sedotta, lo abbandona quasi subito, relegandolo alla figura del caratterista, cosa di cui l’attore si è sempre lamentato: grazie a quei film mi sono comprato la villa al mare. E comunque anche in quelle parti c’erano risvolti meno banali di quello che si pensa. Le femministe mi odiavano, ma emergeva un uomo debole succube delle donne”. Sui rapporti con la critica ritorna anche l’articolo di Alberto Crespi su “La Repubblica”, il cui titolo suona: “Addio all’istrione della commedia che non riuscì a farsi amare dalla critica”. Scrive Crespi: “è assolutamente vero che negli anni ’70 i suoi film venivano stroncati a prescindere, avrebbe detto Totò, dalla critica di sinistra: da un lato sarà bene dire che molti erano veramente brutti; dall’altro è giusto rimarcare che una critica troppo attenta al cinema autoriale non si sforzò minimamente di capire alcuni dei ruoli che portarono Buzzanca alla popolarità”. E su “Il Corriere della Sera“, il ricordo, firmato da Maurizio Porro, inizia così: “Lando Buzzanca, figlio, d’arte ha avuto una carriera molto particolare, segnata dalla sua sicilianità vista in eccesso grottesco. Approfittando della liberalizzazione dei costumi, negli anni ’70, fu sicuramente il campione di incassi di una commedia italiana degenerata nel suo aspetto sociale e invece molto godereccia, erotica, basata sul mito del maschio italiano sempre pronto, formato export”. E’ tuttavia curioso, come scrive Alessandra Comazzi su “La Stampa“, che proprio Buzzanca normalizzò i gay sulla Rai. “Nel 2005 – si legge nel pezzo – la Rai trasmise Io e mio figlio, con l’attore che era il commissario Trieste. Ottimi ascolti. Ma il motivo di interesse era, se non è dire troppo trattandosi di tv, ideologico: il commissario scopriva l’omosessualità del figlio, poliziotto pure lui. E l’accettava senza farla troppo lunga. Notevole. Sulla linea di azione sociale del compagno Fini, all’epoca”. Infine, intervistata da Arianna Finos su “La Repubblica“, Stefania Sandrelli ricorda Buzzanca con queste parole: “Aveva un pizzico di follia, che lo rendeva surreale, era come se recitasse sempre. Non l’ho mai visto serio, era una persona simpatica, sensibile, autoironica. Mi mancherà: con lui ho fatto due dei miei film più belli”. (Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata ndr.)
CINECITTA’ TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE Sull’inserto Login de “Il Corriere delle Sera“, Cecilia Mussi ha incontrato Lucia Milazzotto, direttrice sales and marketing di Cinecittà, che afferma: “L’applicazione della tecnologia è intrinseca al settore cinematografico. Innovazione e narrazione cinematografica sono connesse da sempre, tanto che l’innovazione, a volte, ha portato nuovi sviluppi nella narrazione e, viceversa, lo storytelling sfida continuamente il limite delle capacità tech del settore”. E successivamente la Milazzotto aggiunge: “Cinecittà sta rendendo competitive tutte le nuove tecnologie: siamo un polo di innovazione, un hub e allo stesso tempo un polo industriale, che attira produzioni nazionali e internazionali, dalla più grande a quella indipendente. Cinecittà è una sintesi tra innovazione e tradizione, da straordinarie capacità produttive e di scenografia, alla post produzione. Con un’efficienza dei costi superiore, in un contesto unico e iconico”.
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