Morante, Raffaele, Scarano: tre interviste al femminile sulle principali pagine dedicate al cinema di giovedì 29 dicembre.
LAURA MORANTE – Nel vis a vis con Fulvia Caprara su “La Stampa” (p.32), Laura Morante afferma ciò che l’articolo titola: “Vinco la timidezza recitando ma nella vita non porto maschere”. L’attrice è tra le protagoniste di Masquerade – Ladri d’amore di Nicolas Bedos: “Che cosa le è piaciuto del personaggio di Giulia?”, chiede la giornalista: “Più che altro mi ha attirato il regista, Bedos, una persona totalmente fuori dal coro, un autore con una visione e con riferimenti cinematografici non scontati, lontani da quelli che vengono in genere attribuiti alla categoria degli autori. I suoi film non sono naturalistici, realistici, non parlano di disagi sociali. Bedos ha una scrittura divertente, è uno straordinario direttore di attori e infatti adesso sto lavorando di nuovo con lui”. Ma, “Non è la prima volta che i registi le chiedono di dimostrare più anni, che effetto le fa?”: “Non mi turba per niente, anzi la trovo una cosa buffa, anche se, certo, l’ideale sarebbe fare entrambi, personaggi della mia età e altri più adulti. E comunque travestirmi, interpretare storie in costume, mi diverte molto, è un modo per vincere la timidezza, per accentuare l’elemento ludico del mestiere. Recitare diventa ancora di più un gioco, il distacco dalla realtà è più marcato”.
VIRGINIA RAFFAELE – Viginia Raffaele – al cinema con Tre di troppo, accanto a De Luigi – nell’intervista a Gianluca Pisacane per “Famiglia Cristiana” (p.46) afferma che per lei “Far ridere è una magia che fa bene alla vita”, così Pisacane le domanda: “Che cosa significa divertire?”; e la Raffale spiega che “La risata è un cortocircuito magico, è un super potere farla vivere negli altri. Per una frazione di secondo si dimenticano tutti i problemi, l’animo per un attimo si fa leggero. A volte è quasi una missione. Nel modo giusto si può ridere di tutto, sono l’intelligenza e la sensibilità a fare la differenza. Poi le modalità sono tante, per esempio l’umorismo nero è il più difficile da capire, appartiene maggiormente alla cultura americana. Viene utilizzato per esorcizzare le paure, ma se non è compreso è additato come qualcosa di scorretto, anche se non è così. Serve sempre il rispetto, è alla base di ogni cosa”, poi, in un passaggio, l’attrice fa un’affermazione identitaria importante: “L’essere alternativa, non omologata, mi ha fatto scoprire la parte bella dell’esistenza, anche se è stato faticoso. Un consiglio per i giovani: non imitare i propri coetanei può essere una grande risorsa per il futuro”.
GRETA SCARANO – “Sono così: ciò che voglio me lo vado a prendere” afferma Greta Scarano – nel cast de I migliori anni, commedia a episodi diretta da Massimiliano Bruno e Edoardo Leo, al cinema dal 1 gennaio – nell’intervista con Gloria Satta su “Il Messaggero” (p.29). “Sono tanti o pochi i personaggi non stereotipati che le propongono?”, domanda Satta: “Ma a dire la verità io mi cerco le sceneggiature da sola, vado a caccia di spunti nei libri… E sono fortunata, non ho mai interpretato donne che fossero solo le fidanzate di qualcuno o avessero bisogno di un uomo per esistere. La rappresentazione convenzionale dell’amore mi annoia, cerco qualcosa di diverso”. Quindi, continua la giornalista: “E’ per questo che di recente è passata dietro la cinepresa, dirigendo il corto Feliz Navidad?”: “Da quando avevo 18 anni ho sempre desiderato fare la regista ma ho nascosto il mio sogno per dedicarmi alla carriera di attrice. Poi ho realizzato il corto, senza interpretarlo, per dimostrare che ero in grado di dirigere un film. E sono stata felice come mai nella vita perché mi sono sentita padrona della situazione”. E “Di cosa è più orgogliosa?”: “Di aver interpretato tanti personaggi diversi. Non ho mai indossato un abito unico, mi sono divertita a cambiarlo”.
La rassegna stampa continua tra Storia e amarcord:
MIRACOLO – “Il regista che inventò il ‘Miracolo’ del Natale” è stato George Seaton, quello de Il Miracolo della 34ma Strada (1947), come ricorda e approfondisce Sergio Debenedetti nelle “Pillole di Storia” di “Libero” (p.25). “La trama, soave e con le caratteristiche della favola, risente certamente della guerra appena conclusa e del desiderio di mettersi alle spalle i brutti ricordi del conflitto. Le scaramucce in tribunale per il riconoscimento o meno dell’esistenza effettiva di ‘Santa Claus’ – del Babbo natale americano nell’iconografia classica con slitta e barbone – determinano un dibattito originale ma che segue gli andamenti della procedura tradizionale di un normale processo dove, naturalmente, non mancano le situazioni semiserie e le battute a raffica per sorridere e divertirsi con semplicità. Ma il colpo di genio del film è basato sull’onestà: il più grande Magazzino di New York dove ha installato la sua base operativa Babbo Natale/Edmund Gween infatti, grazie a lui non cerca il profitto a tutti i costi ma informa invece i clienti di andare a comperare quel che vogliono presso il Magazzino che ne ha la disponibilità. L’idea, che stravolge il sistema della spietata concorrenza, ottiene uno straordinario successo tra il pubblico al punto che non solo pian piano costringe tutti i Grandi Magazzini di New York ad attuarla ma estende agli interi Stati Uniti l’idea stessa, rendendo la popolazione più libera e felice. Proprio una gran bella favola!”.
PUGLIA – “L’ ‘idillio infranto’ tra il Cinema e la Puglia si è ricomposto solo da una trentina d’anni. La Puglia mortificata nell’immaginario collettivo lungo gran parte del ‘900, ha finalmente preso corpo sullo schermo grazie ai film di Rubini, Laudadio, Amelio, Placido, Olmi, Winspeare, Cirasola, Piva, Comencini, Albanese, Sciarra, Ozpetek, Nunziante, Checco Zalone, Base, Garrone, Mezzapesa, Fasano e tanti altri, non solo italiani”, scrive il direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Oscar Iarussi nel pezzo Così nasce il cinema nelle terre di Puglia (p.17). Il gioco con il titolo – con quell’Idilio Infranto – è una maniera per evocare il terzo film di ufficiale produzione pugliese: “girato nel 1931 e proiettato in rare occasioni a partire dal ’33. Idillio Infranto è forse l’ultima pellicola muta realizzata in Italia negli stessi mesi dell’avvento del sonoro. Una rivoluzione che avrebbe trasformato l’industria e inciso radicalmente sui gusti del pubblico, mettendo in crisi persino Charlie Chaplin, del quale nel 1931 esce Luci della città, un capolavoro di rumori e musica, senza dialoghi. Idillio Infranto sarebbe quindi rimasto per quasi sessant’anni in una cassapanca di Acquaviva, nella dimora di Orazio Campanella che lo produsse con la neonata ‘Apulia Cine’ … Inabissatosi nel tempo, Idillio Infranto riaffiora grazie al ritrovamento nel 1986 da parte di Franco Milella, un erede di Campanella”.
TSAI MING-LIANG – E se la Puglia segna una geografia del cinema, territorio d’elezione della Settima Arte è Parigi: Eugenio Renzi sulle pagine de “il manifesto” conduce alla mostra Tsai Ming-liang, il cinema come spazio di meditazione (p.12),una personale del regista taiwanese. “Nell’ultimo decennio, la sua produzione si è concentrata essenzialmente su opere concepite per essere proiettate in luoghi d’arte, gallerie, musei, festival. L’evento che il Centre Pompidou di Parigi gli ha dedicato, dal 25 novembre fino al 3 gennaio, getta un ponte tra questi due lati del lavoro di Tsai Ming-liang illuminando entrambi. Il titolo è Une quête. ‘QUETE’ è una parola francese di origine latina da cui deriva anche l’inglese quest, essa vuol dire al tempo stesso ricerca, avventura, missione. I romanzi di fantasy sono spesso incentrati su una quête che in genere si materializza in un oggetto o un premio. Se questa dimensione di conquista del mondo non è assente dall’esposizione che Tsai Ming-liang ha ideato con la complicità di Amélie Galli, è vero anche il contrario: la quête che il regista taiwanese propone ai visitatori del Pompidou è al tempo stesso un’avventura spirituale, una ricerca interna, un’esperienza meditativa. Non a caso, per il manifesto dell’evento, è stata scelta un’immagine tratta dalla serie Walker (alla lettera: camminatore). Walker è un progetto aperto, ufficialmente cominciato nel 2012, che si espande negli anni e che ad oggi conta nove film di durata ineguale — l’ultimo, Where, è stato girato proprio per e al Centre Pompidou”.
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