Good Morning, Cinecittà

10 GENNAIO Le interviste a Kevin Spacey – “Il Messaggero”, Antonio Albanese – “Corriere della Sera” e Alvaro Vitali – “la Repubblica”. Per “Il Fatto Quotidiano”: Zelensky da Oscar


Nelle pagine degli spettacoli di oggi, 10 gennaio, ricorrono le parole di Antonio Albanese, protagonista di Grazie Ragazzi di Riccardo Milani; non l’unica intervista, infatti si segnala quella a Kevin Spacey, il 16 gennaio a Torino per una masterclass, e quella ad Alvaro Vitali

ANTONIO ALBANESEAlbanese, risate in carcere: “Un mondo dimenticato”, titola il “Corriere della Sera” (p.41).“Nei panni del regista mi è sembrato di rivivere la stessa sorpresa dei miei inizi. Posso dire di essere stato salvato dal teatro, in un certo modo. L’ho scoperto tardi, a 22, 23 anni, e mi ha reso un uomo più felice. II personaggio riscopre insieme ai suoi attori quell’attimo fuggente in cui le emozioni inespresse trovano la via per emergere in scena. Credo sia stato lo stesso per i miei colleghi che hanno interpretato i detenuti — Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi e Bogdan Iordachioiu —, tutti molto bravi a tatuarsi addosso la disperazione di quel contesto”, racconta l’attore a Stefania Ulivi; Albanese fa notare come la cultura possa fare la differenza. “È importantissima ma interessa sempre meno. Nelle ultime elezioni la parola cultura non è stata detta da nessuno. Vergognoso”, e in particolare, sul disinteresse generale verso il mondo del carcere, Antonio Albanese sostiene che “Se ne parla troppo poco e male, solo di fronte a conseguenze tragiche come è successo al Beccaria. Abbiamo girato a Velletri e a Rebibbia e ci siamo confrontati con ragazzi che lavorano, imparano a costruire delle cose, e tante persone che si occupano di loro nel modo giusto”.

KEVIN SPACEY“E ora torno alla mia vita: il cinema”, così dichiara Kevin Spacey a Gloria Satta su “Il Messaggero” (p.17). L’attore, ospite di una masterclass al Museo del Cinema di Torino lunedì 16 gennaio, intervistato dalla giornalista, parla per la prima volta dopo i guai giudiziari e l’ostracismo di Hollywood. Franco Nero l’ha scritturato per il suo film in uscita (a febbraio), L’uomo che disegnò Dio: “Franco Nero ha dimostrato coraggio scritturandomi per il suo film. Ci è voluto coraggio per scritturarmi, mentre molti altri hanno avuto paura. E per questo sarò sempre grato a Franco Nero”. Satta domanda a Spacey se “Non le dispiaceva non essere il protagonista?”: “La parte era piccola, ma l’invito aveva un grande significato. Ho detto di sì non tanto al ruolo che avrei interpretato sullo schermo quanto al ruolo che Franco stava giocando nella mia vita”; e “Che emozioni ha provato nel tornare sul set dopo tanto tempo e tante vicissitudini che hanno segnato la sua vita?”: “Sono stato felicissimo di unirmi a un gruppo di colleghi attori per essere al servizio di Nero e della storia che voleva raccontare. Franco ha un grande senso dell’umorismo e ha creato sul set un’atmosfera aperta e creativa. È un grande narratore e ha condiviso con noi le sue numerose esperienze nel cinema. Ho avuto il privilegio di ascoltarlo e diventare suo grande amico”. “E con gli altri com’è andata?”, domanda ancora Satta: “Sono stato accolto a braccia aperte dal cast e dalla troupe che si sono rivelati collaborativi e gentili. Mi sono sentito valorizzato e apprezzato. E ho avuto il piacere di farmi degli amici come Robert Davi, magnifico attore e uomo divertentissimo”.

ALVARO VITALI“Fellini mi cambiò la vita. Il mio Pci mi ha snobbato” dichiara l’attore su “la Repubblica” (p.40) e il giornalista Concetto Vecchio gli domanda: “cosa faceva prima di diventare attore?”: “L’elettricista a Trastevere. Un giorno venne a trovarmi Pippo Spoletini che reclutava le comparse per il cinema. Mi disse che Federico Fellini cercava un ragazzino magro come me. ‘Chi è Fellini?’ gli chiesi”. E “Che anno era?”: “Il 1969, avevo diciotto anni. Facevo il ragazzo di bottega in un negozio di piazza Mastai. Il principale, Gino Segarelli, mi passava 16 mila lire a settimana”. Per cui “Il cinema quindi non fu una vocazione?”: “No, fu un grande regalo della vita. Il sabato successivo mi ritrovai a Cinecittà, circondato da mangiafuochi e ballerine. Mi fecero attendere sette ore. Poi fecero entrare me e un ragazzo napoletano in una sala enorme, avevo un faro puntato contro alle cui spalle scorsi una macchina da presa. Su una scala svettava un signore di cui, accecato, distinsi appena il cappello e una sciarpa”. “Fellini”, afferma Vecchio. “Disse soltanto, con voce stridula: ‘Chi di voi sa fare il fischio del merlo?’ Fischiai a tutti i polmoni. La vocina disse: ‘Maurizio, prendi lui che l’altro sta ancora aspettando il merlo’”.

BARBABLU’ – Stessa testata – “la Repubblica” – altro tema: il #MeToo italianoLe attrici aprono le stanze di Barbablù – “Costrette a spogliarci per avere la parte” titolano Viola Giannoli e Eugenia Nicolosi (p.23). Ecco le voci di alcune delle sopravvissute delle violenze e i loro racconti: “Un collega approfittava, in una scena, per toccarmi il sedere. Quando l’ho affrontato ha cercato di farmi passare per pazza visionaria”. “A un festival importante lo spettacolo prevedeva un nudo integrale — racconta un’altra attrice teatrale — Un tecnico che aveva il compito di portarmi nel foyer mi disse: ‘Se vuoi facciamo una sveltina così ti rilassi’”. Dal cinema: “Alla fine di un provino un regista mi fa: ‘Sei brava, e hai un bel culo’. Ogni notte mi chiamava anche alle 4”. Un’altra: “Mi ritrovai sola con il regista, mi fece sedere sulle ginocchia e m’infilo la mano sotto il vestito per afferrarmi il seno”. Il pezzo continua e, tra le testimonianze, quella di Francesca Romana De Martini che ha lavorato con Bertolucci, Placido, Avati, ricorda: “Ero in Accademia, il mio agente mi mandò a fare un provino per una pubblicità a Cinecittà, ci trovammo io e un aiuto regista, mi chiese di togliermi la maglia e mostrare il seno “perché ii regista vuole essere sicuro di come sei fatta”. Dissi di no, mi disse se non lo fai non sei una professionista, sei una cretina, non mai lavorerai mai nella vita”. 

ZELENSKYZelensky un presidente da Oscar: Hollywood lo proclama vincitore, scrive Sabrina Provenzani su “Il Fatto Quotidiano” (p.14). “Una sequenza di celebrità immortalate nella versione ucraina della hollywoodiana a Walk of Fame fuori dal parlamento, che ha accolto anche politici come Boris Johnson e diversi leader europei. Parte di questa formidabile conquista mediatica è la standing ovation al Festival di Cannes e le copertine come ‘persona dell’anno’ di Time, Politico e del Financial Times. Il fascino di Zelensky sta nell’essere la personificazione reale, in una situazione di estrema emergenza, di un ideale di eroe ampiamente rappresentato nella finzione hollywoodiana. Un meccanismo studiato da Grant Farred, docente alla Cornel University, nel saggio The Zelensky Method: l’uomo forte dell’Ucraina ha capito che era possibile un’identificazione fra i valori occidentali e quelli ucraini e ha avviato un nuovo progetto europeo che lo trascende come individuo e si estende all’intera Ucraina”.

BABY STAR –  Matteo Legnani su “Libero” (p.14) titola Che brutta fine le baby star, indagando quanto la popolarità precoce possa portare alla rovina. Lo spunto è Adam Rich, “chi?” si chiederanno in molti, si legge nel pezzo. Lui, il piccolo della Famiglia Bradford, è appena scomparso: “Il ‘fratellino d’America’, come veniva soprannominato, era irriconoscibile nelle foto apparse a corredo della notizia della sua scomparsa, quelle di un 54enne dal volto tirato e magro, i capelli grigi, lo sguardo stanco … Dopo lo stop della serie nel 1981, Rich era apparso come guest star in alcuni episodi di altri celebri telefilm di quegli anni, tra cui Love Boat, Chips, L’uomo da 6 milioni di dollari, Baywatch. Poi lo show business lo dimenticò e iniziarono i problemi: a 17 anni, nel 1986, lasciò la scuola superiore. Tre anni più tardi andò vicino alla morte in seguito a una overdose di valium. Un rapporto, quello con le droghe, che lo avrebbe portato per tre volte in riabilitazione nel corso degli anni successivi. Nel 1990, sorpreso a guidare in stato di ubriachezza dopo aver quasi investito alcuni pedoni, finì in libertà vigilata per cinque mesi, al termine dei quali venne arrestato in seguito alla tentata rapina in una farmacia a West Hollywood. Il suo ‘papà’ ne La Famiglia Bradford, l’attore Dick Van Patten, lo fece uscire pagandogli la cauzione. Ma Rich, in galera, ci tornò ancora una volta nel 2002, questa volta per guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Quello di Adam Rich è solo l’ultimo nome in una lunga lista di giovanissime celebrità del cinema e della tv americane cadute vittima di alcol e droghe. Il caso più celebre resta quello di Macaulay Culkin, il ragazzino protagonista nel 1990 di Mamma ho perso l’aereo”.

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10 Gennaio 2023

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