Gli ultimi giorni del rinoceronte rosso

Alberto Signetto, regista indipendente, sperimentatore e cinefilo scomparso quasi un anno fa, è il protagonista di 'Walking with Red Rhino' di Marilena Moretti, sezione Ritratti d'artista del TFF


TORINO. “Ho scelto come animale simbolo il rinoceronte perché cocciuto, grosso, ingombrante, poco addomesticabile e anche infido. E poi dà la carica alla jeep dei bianchi nonostante sia più grande”. E’ il ritratto che Alberto Signetto, regista indipendente, sperimentatore e cinefilo, fa di se stesso nel documentario Walking with Red Rhino di Marilena Moretti, presentato nella sezione Ritratti d’artista. Signetto un artista, appunto, libero, lontano dai condizionamenti industriali, fautore di un cinema di ricerca; un canavese nato a Cordoba (Argentina) come lui narra nel documentario che lo pedina fino agli ultimi giorni di vita del gennaio di quest’anno.
Un poeta del cinema alternativo, lontano dai compromessi industriali e dalla cultura ufficiale come emerge dal film di Marilena Moretti che utilizza i materiali d’archivio e le testimonianze raccolte dello stesso Signetto. Red Rhino – è lo pseudonimo che lui stesso aveva coniato – ricostruisce i periodi cruciali e più importanti della sua vita artistica mentre la malattia lo sta consumando.
E allora scorrono le immagini dei suoi incontri con registi del calibro di Theo Angelopoulos, Jean Rouch, Robert Kramer, Jean Marie Straub e Danielle Huillet, Raul Ruiz. E a chiudere Weltegenie, il suo lunghissimo carrello senza interruzioni nello stabilimento abbandonato del Lingotto, il documento raffinato, realizzato per la tv tedesca nel 1988, simbolo di una Torino post industriale.

L’idea di Walking with Red Rhino nasce nel marzo 2010 in occasione di una retrospettiva, promossa dal Festival Piemonte Movie, dei lavori di Signetto che l’aveva definita ”la sua prima rassegna postuma” in quanto si considerava un “regista marginale” com’era scritto in un cartello indossato in occasione di una manifestazione contro i tagli alla cultura.
La regista lo aveva conosciuto all’inizio degli anni ’80 alla Rai di Torino, poi le strade si erano divise. Lei a Roma, accettando di misurarsi con le logiche di mercato, lui rimanendo caparbio a Torino a fare il suo cinema sperimentale e indipendente, riconosciuto all’estero ma rimosso in Italia.
Un’impresa impossibile che l’aveva stremato, che aveva esaurito le sue risorse economiche fino al punto di perdere la casa di famiglia, come mostra il documentario e come confessò, presentando la rassegna a lui dedicata. “Quella sera lo riscoprii come persona e come artista dopo averlo considerato un po’ fanatico e fino all’ultimo fedele a se stesso senza accettare alcun compromesso, rosso per fede politica e calcistica (Torino). Capii che occorreva raccontare questa storia e così riparare un torto – spiega l’autrice – All’inizio il film era stato pensato come un omaggio per conservare memoria della sua arte, un modo per chiedergli scusa anche da parte mia. Poi è arrivata la malattia che ha scompaginato le carte e il lavoro è diventato un video-diario, dalla narrazione più intima. Più che un film su Alberto è un film con Alberto”.

Alessandro Signetto ricorda la grande passione del fratello per il cinema che l’aveva portato sul set de La recita di Angelopoulos, alla metà degli anni ’70, affrontando disagi d’ogni tipo; che l’aveva coinvolto nella cooperativa di distribuzione del nuovo cinema tedesco (i primi film di Wim Wenders) e polacco di quel tempo e in un rapporto forte con il cinema indipendente europeo e americano.
“Alberto è stato un artista indipendente fino all’autolesionismo, che ha pagato un prezzo altissimo per la sua coerenza. Quando abbiamo dato vita alla cooperativa di distribuzione si pensava di cambiare il mondo – racconta il regista Davide Ferrario, produttore del film – Ricordo la trattoria che ospitava le nostre lunghe discussioni mentre si mangiava e si beveva molto, una bulimia di cultura e di cibo. Poi ho avuto molta più fortuna, forse perché anch’io ho fatto dei compromessi”.

Paolo Manera responsabile del Piemonte Doc Film Fund che ha sostenuto il film, ricorda quanto sia stata preziosa la collaborazione di Alberto Signetto nel momento della creazione del Fondo regionale per il documentario: “Ci dava la garanzia che era corretto e giusto il nostro lavoro a favore del cinema indipendente”. Nel film emerge in modo preponderante la capacità affabulatoria di Signetto, una persona dotata di ironia e autoironia che ha espresso anche negli ultimi giorni di vita. “Quando in ospedale, per alleviare le sofferenze, venne sottoposto al trattamento di morfina – ricorda la regista – fece sorridere tutto il personale medico dicendo che non era vestito in modo adatto per sembrare un tossicodipendente”. E coerente con il personaggio, forse intuendo che si trattava dei suoi ultimi momenti, ha accettato di mettersi in scena fino alla fine.

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