“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza” diceva il Manzoni con una frase divenuta ormai proverbiale.
Ancora oggi, a un secolo dalla sua nascita e a poco più di un quarto di secolo dalla sua scomparsa, riesce difficile tirare le somme sull’attività registica e attoriale di
Anche perché, sugli schermi, sono ancora presenti troppi suoi presunti figli (non solo di sangue) che vorrebbero tramandarne la memoria, ripetendo gesti, modi di fare e personaggi.
Tra questi figli degeneri ci fu lui stesso che, per motivi puramente alimentari, si diede alla riproduzione sterile del suo personaggio.
Eppure come regista seppe – soprattutto quando incontrò un talento come Zavattini – donare al cinema italiano (e non solo) alcuni dei suoi indiscutibili capolavori.
Ladri di biciclette, Sciuscià, Umberto D sono titoli che hanno marchiato con il fuoco la memoria collettiva e hanno restituito, nel periodo più faticoso della ricostruzione, dopo il secondo conflitto mondiale, un’immagine dell’Italia per niente consolatoria, critica e straordinariamente lucida. Tanto sincera da scandalizzare, provocare, far discutere. Virtù che il nostro cinema contemporaneo sembra aver perduto, purtroppo.
Certo fu sempre presente un sottofondo populista – non sappiamo quanto dovuto a Zavattini o all’indiscussa matrice cattolica del regista – ma fu un populismo poco pacificato, di stampo quasi manzoniano, che a contatto con le feconde contraddizioni del “Vero” e della “Realtà colta sul momento dalla macchina da presa”, si fa ambiguo.
Lo stesso De Sica sapeva, in cuor suo, di legare il suo nome al ricordo di questi pochi film, come sapeva di aver dato tutto se stesso in Umberto D. Fu così tristemente consapevole, negli anni successivi a questo immenso tragico capolavoro, di stare, in fondo, sopravvivendo a se stesso. A volte in una sopravvivenza magnifica e crepuscolare con film che sembravano splendere nel buio come stelle cadenti luminose ed effimere (La Ciociara, Il Giardino dei Finzi Contini), altre volte in una sopravvivenza più simile a una smorta brace che va spegnendosi (le ultime seriali prove d’attore).
Eppure basta, in fondo, questo folgorante, compatto trio di opere neorealiste, e bastano alcuni personaggi consegnati al mito, perché si possa parlare a tutti gli effetti di un autentico Autore. Di cui non possiamo non sentire la mancanza.
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