Quest’anno sei a Venezia come presidente della giuria della rassegna competitiva di cortometraggi “Corto-Cortissimo”: come ti senti in questi panni?
Ho accettato molto volentieri l’invito di Barbera che l’anno scorso mi aveva chiesto di far parte della giuria per l’Opera Prima. Purtroppo, ero appena stato in Giuria a Locarno. Questa volta ho accettato con piacere, perché l’impegno, in termini di tempo, sarà più limitato e non interferisce con la lavorazione del mio prossimo film. Sono curioso: il panorama della selezione è davvero internazionale con 14 corti di paesi diversi e un italiano, che mi incuriosisce in particolare perché è un mio conterraneo marchigiano…
Il mondo dei cortometraggi mi interessa perché rappresentano un contributo all’evoluzione dell’alfabetizzazione dell’immagine. Il linguaggio visivo è cambiato: oggi qualsiasi ragazzino è in grado di prendere in mano una macchina digitale e di raccontare le sue storie.
Credo che bisognerebbe fare qualcosa di più per favorire i talenti che esistono, ben al di là di quei quattro nomi che ci diciamo sempre tra noi. Ci sono tanti giovani che hanno voglia, passioni e meriti per raccontare delle storie e troppo spesso il cortometraggio è considerato, ingiustamente, un biglietto da visita per il lungo.
Io lo vedo come una forma a se stante, con tempi e ritmi propri come, in letteratura, il racconto e il romanzo. Ci sono grandi romanzieri e grandissimi scrittori di racconti: la durata non è propedeutica a qualcosa di meglio che deve venire. Sarebbe bello, anzi, che anche registi collaudati continuassero a cimentarsi in forme brevi che non siano quelle istituzionali del cinema. Il corto è un’espressione più libera e snella, che dà la possibilità di elaborare tanti piccoli spunti che a volte non hanno modo di entare in un film, necessariamente legato a una struttura più rigida.
E, in verità, attraverso questa attività di giurato è come se io volessi in qualche modo scusarmi della mia attività di cortista che è stata quasi inesistente: ho fatto dei super8, che però tengo ben nascosti, e ho girato un 16 mm, che però non ho mai editato e credo addirittura di aver perso.
Ma proprio qui al Festival presenti un corto, diretto da te e da Margherita Buy, che segna il tuo esordio come attore e quello di Margherita nella regia…
Si intitola Non ho tempo e fa parte della serie “La Monnezza”, prodotta da Tele+ in collaborazione con Legambiente, sul tema dei rifiuti. Io e Margherita abbiamo risposto alla chiamata di Legambiente con l’unica pretesa di scherzare con una telecamera digitale e alcuni amici, in una giornata e mezzo di riprese: è stato divertente ma anche faticoso perchè alla fine non riusciamo a non impegnarci in quello che facciamo. Come attore ero spesso in imbarazzo, ma Margherita mi ha incoraggiato dicendo che non ero proprio da buttare. Lei, invece è stata una valida regista, ma ogni tanto non aveva la tenuta necessaria, si stancava dei tempi e delle attese, anche se abbiamo lavorato con grande velocità e complicità. Nelle dichiarazioni per il catalogo di Venezia ci scusiamo per i nostri deplorevoli debutti incrociati.
Alla fine, credo che ci siamo compensati e allo stesso tempo siamo riusciti a comunicarci i difetti reciproci Abbiamo ironizzato sul senso di colpa che ci prende quando siamo chiamati in causa sui grandi temi dell’umanità. Tutti vorremmo fare qualcosa riguardo al buco nell’ozono: abbiamo scelto di prenderci un po’ in giro sulle piccole scuse e sul tempo che manca sempre di fronte a questi impegni.
E’ l’inizio tardivo della tua attività di cortista?
Beh, fare il percorso al contrario mi piacerebbe. In Italia c’e poca attitudine a produrre cortometraggi e allora sarebbe fondamentale trovare una complicità con un produttore che ti permetta di esprimere degli spunti, magari anche delle piccole inchieste, come si facevano una volta, che non abbiano necessariamente l’andamento di una fiction. A volte butto giù delle idee: ma poi, anche in quel caso, “non ho tempo”…
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