Un melò dentro e fuori dal set, un gioco di specchi, un viaggio divertito nella cultura ottocentesca e nel mito del cinema. E’ La vita che vorrei, nuovo film di Giuseppe Piccioni che 01 distribuirà dal 1° ottobre in quasi 200 copie.
Sullo schermo, per la terza volta insieme, Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli, corpi feticcio di Piccioni. Interpretano Stefano e Laura, attori dall’indole opposta: lui è quasi un divo dai modi freddi e controllati, lei una semi esordiente che attinge sempre all’esperienza vissuta. Si incontrano sul set di un film in costume dove realtà e finzione si mescolano. Nel cast anche Roberto Citran, nei panni di un agente spregiudicato, Galatea Ranzi, attrice di successo a cui Laura ha soffiato il ruolo da protagonista, Ninni Bruschetta, il regista, Fabio Camilli, il giornalista che conosce tutti ma in fondo è sempre solo, Paolo Sassanelli, un attore che stenta a prendere il volo. Produce Lionello Cerri per Rai Cinema, Lumière & Co. e la tedesca MTM.
Il film non eccede nel citazionismo ma è ricco di riferimenti al romanzo d’appendice, al teatro, al melodramma. Quali sono i più importanti?
C’è una frase rubata a La sera della prima di Cassavetes e qualche citazione dall’Adolphe di Benjamin Constant. La messa in scena deve qualcosa alla Traviata. Il film a cui sono più affezionato è La signora delle Camelie di George Cukor con Greta Garbo. Il 90% della storia e dei dialoghi però è nostro. E’ come se questa storia fosse familiare al pubblico perché somiglia ad altre ma senza ripercorrerle fedelmente.
Come si risolve il nodo del rapporto tra finzione e realtà?
L’obiettivo era raccontare una storia d’amore tra due attori che recitano una pellicola in costume sulla falsariga della Signora delle Camelie. Non ci interessava mostrare il mondo del cinema con taglio sociologico. Per questo abbiamo evitato di soffermarci sul sottobosco del cinema romano correndo anche un rischio di credibilità. All’inizio del film finzione e realtà corrono in parallelo poi i due piani si confondono. Poi si arriva ad un “melodramma del reale”. Accade soprattutto in una scena in cui Stefano e Laura si lasciano: lo scenario è una villa dell’800, vestono i costumi di scena, c’è la musica e usano un linguaggio eccessivo. Per il pubblico distinguere tra dentro e fuori set non è facile. Via via però il metacinema si dissolve per fare posto alla storia tra i due.
“La vita che vorrei” è anche un film sul mestiere dell’attore.
Si ma il film non offre nessuna ricetta, non dice come si deve recitare. Stefano e Laura hanno metodi opposti. Lui è un attore di formazione classica intrappolato nella routine, Laura è una donna che non mette filtri tra sé e il mondo, che nel lavoro riconduce tutto alla propria esperienza. Il mio personale punto di vista è che la recitazione è un gioco in cui però il vero artista elargisce sempre qualcosa di sé.
Le difficoltà di una storia d’amore sul set?
In Effetto notte uno dei personaggi afferma: “Non c’è mestiere in cui si danno tanti baci come il nostro”. Ed è vero. La recitazione è un territorio promiscuo per corpi ed emozioni. Le storie d’amore sono forse più esposte alle minacce.
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