Giuseppe Piccioni


G. PiccioniRifiutato da Venezia, ha trovato spazio alla Berlinale nella sezione Panorama La vita che vorrei di Giuseppe Piccioni. “Evidentemente Marco Müller ha scelto film migliori del mio”, commenta il regista, che ha al suo fianco i due protagonisti Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli, oltre al produttore Lionello Cerri. La squadra conta molto sulla cassa di risonanza del festival per trovare sbocchi internazionali. “Una scelta fatta di comune accordo con Adriana Chiesa, responsabile delle vendite all’estero, e con Rai Cinema. In Germania mi conoscono, hanno visto e apprezzato Luce dei miei occhi e Fuori dal mondo. Per questo abbiamo preferito Berlino a Londra o Montreal”, dice Piccioni, impegnatissimo, proprio in questi giorni, con la libreria del cinema che ha appena aperto, insieme a otto soci e amici fidati, nel cuore del quartiere romano di Trastevere.

A Berlino, tra l’altro, eri già stato da debuttante?
Sì, nell’88, con Il grande Blek. È stato il battesimo per me e per Domenico Procacci. C’era ancora il muro, la città era diversissima.

Pensi che il film, che in Italia è uscito il 1° ottobre e che ha incassato un milione e mezzo di euro, non abbia avuto il riscontro che meritava?
Fuori dal nostro ambiente, invece, ha suscitato tante reazioni positive. Pensa che ho ricevuto moltissime mail di persone che mi ringraziavano.

È un film che ha diviso la critica, ad alcuni è sembrato forse pretenzioso.
Forse perché è una storia d’amore che sfugge al pastone mediatico dominante, e questo l’ha penalizzato.

La vita che vorreiPoi c’è l’atavica allergia per il melodramma, che è una delle radici trasversali della cultura italiana, di certi intellettuali.
Sì, questo è un grosso handicap. La vita che vorrei è un film che si inserisce certamente nel mercato, ma è anche molto personale. È vero che affronta dei temi intellettuali e magari anche un po’ usurati, come il cinema nel cinema o il senso della rappresentazione, ma lo fa raccontando una storia. E poi c’è un grande lavoro con gli attori, non solo Luigi e Sandra, ma anche Galatea Ranzi e tutti gli altri.

Cosa pensi della nuova legge sul cinema?
Soprattutto sono preoccupato per quelli che iniziano adesso e non possono contare sui famosi punteggi del reference system. Così si rischia di creare una casta chiusa. Credo che siamo passati dalla sbornia dell’autorismo alla voglia di somigliare al cinema americano. Troppi comitati di lettori di sceneggiature ed esperti di marketing: il cinema è anche e soprattutto un’avventura.

Tu continui a lavorare con la tua “famiglia” di attori e produttori?
È vero, ho proprio un’idea di “famiglia” cinematografica. Ora sto scrivendo un nuovo soggetto che sarà prodotto da Cerri insieme con Mikado. Sarà diverso dagli ultimi tre film, perché penso di aver chiuso un ciclo con La vita che vorrei. E forse potrei passare a una storia più corale, con attori anche diversi, magari da scoprire.

Toglimi una curiosità: La vita che vorrei mi è sembrato un film catartico sul piano personale. Ti ha in qualche modo cambiato?
Beh, è un film che contiene tanti dubbi, riflessioni e spunti personali… ha prodotto un maggiore distacco, mi ha come aiutato ad archiviare qualcosa.

autore
11 Febbraio 2005

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