Né in cielo né in terra ma in cima ad una ciminiera. Simone, operaio licenziato dalla fabbrica e tradito dalla moglie, si rifugia qui. Attorno a lui, sotto gli occhi ingordi dei media, si radunano sindacalisti e poliziotti, preti e industriali, compagni di lotta e curiosi. Diventa un caso nazionale proprio alla vigilia di un G8 che si preannuncia bollente. Simone è il protagonista di Né terra né cielo, film di Giuseppe Ferlito, quasi un remake del suo pluripremiato video Compagno che sei nei cieli ma con venature grottesche e surreali dalla dichiarata ispirazione buñueliana.
Prodotto dalla Immagina Cinematografica, la scuola laboratorio di Ferlito da dove provengono anche attori e tecnici, con il supporto della Arbash di Pasquale Scimeca, uscirà in 4 copie il 18 aprile distribuito da Lantia.
Qual è il legame tra “Compagno che sei nei cieli” e “Né terra né cielo”?
Il primo è un video del 1995 ispirato ad un fatto di cronaca accaduto in Sardegna all’inizio degli anni ’90. Il protagonista è un eroe che non si rassegna mai. Fu Giuseppe De Santis a suggerirmi di farne un film. Chiesi e ottenni l’articolo 8 e ribaltai la sceneggiatura. L’operaio di Né cielo né terra è un uomo puro e beffardo. Vive una crisi individuale profonda, non s’identifica più in niente, né la fabbrica né la famiglia. L’altezza da cui guarda gli altri è il simbolo del suo isolamento. Il suo silenzio fa emergere le contraddizioni della società che si raduna ai suoi piedi. Ma quando decide di scendere gli altri lo inchiodano lassù, viene defraudato della sua protesta dai media e da mestieranti senza passioni. Diventa un simbolo. Anche le storie private degli altri personaggi si dissolvono con l’avanzare della grande manipolazione spettacolare.
Nel film ci sono diverse immagini rubate al video. Perché?
L’osmosi tra i due è stata dettata dalla scarsità di mezzi. Ma sono soddisfatto del risultato.
L’omaggio a Buñuel?
L’immagine della ciminiera si è sovrapposta a quella della colonna che compare in Simon nel deserto. Così ho trasformato l’operaio in anacoreta che, non a caso, prende il nome dal protagonista di regista spagnolo.
Avete usato una vera ciminiera per le riprese?
No. Una ciminiera reale sarebbe stato troppo squallida, volevo che somigliasse ad una colonna dorica. All’inizio volevo ricostruirla ma il budget non lo permetteva. Così ne ho usata una di circa 2 metri, montata su un camion e portata sulle alture fiorentine.
Il coinvolgimento di Scimeca?
All’inizio il progetto era nelle mani di Cecchi Gori, produttore di Femmina. Con la sua crisi mi sono trovato solo ad affrontare il meccanismo produttivo. Scimeca, a cui sono legato da un’amicizia di lunga data, ha creduto nel film e si è associato come coproduttore.
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