Giulio Manfredonia: “In concorso? E perché no?”


“Se vai a un festival devi essere pronto a competere, e a me sarebbe piaciuto essere in concorso, visto che sono un regista di quarant’anni, e non De Oliveira. Ma mi fa piacere comunque esserci, anche se fuori concorso”. Ha colpito la scelta della direzione della kermesse capitolina di tenere fuori dalla gara Si può fare, terzo film di Giulio Manfredonia, accolto dalla stampa con lunghi applausi, come una felice sorpresa. E non a caso questo è stato il primo argomento chiarito dal regista in conferenza stampa. La sua è una commedia che parla di cose serie con delicatezza e senza schematismi, mettendo in scena l’ex-sindacalista Nello/Claudio Bisio, che si ritrova a guidare una cooperativa di matti catapultati nella realtà dalla legge Basaglia. “Uno che negli anni ’80 sceglie una ‘terza via’ rispetto allo yuppismo entusiasta del mercato e alla cultura di sinistra arroccata nel passato”, dice lo sceneggiatore Fabio Bonifacci. Nello non sa nulla di psichiatria, ma agisce senza saperlo come un “basagliano”, e tratta i suoi soci picchiatelli come persone normali, facendoli lavorare e mettendoli a confronto con il mondo. Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli e Bebo Storti sono quelli “normali” del cast, mentre per i matti Manfredonia ha scelto un gruppo efficace di volti nuovi, tra cui Andrea Bosca, Giovanni Calcagno, Daniela Piperno e Franco Pistoni. Si può fare – il titolo è il motto del protagonista, che incoraggia con queste parole anche le idee più folli dei suoi “soci” – uscirà il 31 ottobre in 100 copie con Warner Bros.

La forza di questo film è la credibilità dei personaggi malati. Come li ha scelti e poi preparati?
I provini sono stati lunghi e complicatissimi, perché il mio impegno era cercare dei volti poco conosciuti che sapessero calarsi bene in quei personaggi così particolari. Ho fatto fare a 30 attori una preparazione per il provino, poi ho scelto gli 11 in cui vedevo il miglior potenziale, quelli che avevano già trovato da soli il loro matto. Poi li ho presi e li ho chiusi due settimane a Santa Maria della Pietà: un giorno li ho lasciati tutti là dentro 12 ore senza fare nulla: un esercizio borderline per tirar fuori naturalmente la loro speciale forma di pazzia.

Esistono molti film che parlano dei pazzi e della pazzia, ce n’è qualcuno in particolare a cui si è ispirato?
L’originalità di Si può fare sta tutta nella sceneggiatura, nata da una storia vera italiana, come quella della cooperativa Noncello di Pordenone, poi reinventata. Ci sono molti film sulla follia ma pochissimi che raccontano queste storie italiane. Comunque confesso che il mio riferimento principale è stato Qualcuno volò sul nido del cuculo; non a caso ho fatto vedere agli attori il documentario sulla preparazione del film, soprattutto per il modo, lo sguardo con cui quella pellicola affronta l’argomento. E poi ci siamo tutti documentati su ciò che accadeva nei manicomi: l’elettroshock, le quantità incredibili di farmaci, le cinture di contenzione, addirittura la malarioterapia. La sfida era non uscire mai dalla credibilità.

Perché ha scelto proprio Claudio Bisio, un comico, per il ruolo da protagonista?
I comici sono spesso grandi attori, e ho scelto lui in quanto attore. Ci eravamo sfiorati tante volte e so che ha una gran sensibilità per il mondo del lavoro, era perfetto per fare il sindacalista. Nel film lui ha due talenti: è un gran motivatore, perché convince 11 rimbambiti a tirar fuori la voglia di esprimersi, ed è un talent scout, uno che intuisce le potenzialità delle persone. Ad esempio capisce che il matto che non parla mai ed ha una faccia inquietante è perfetto per fare il presidente: uno che non sa fare niente, è un peso morto, ma mette in soggezione le persone…

Perché non ha fatto recitare dei matti veri?
Per una motivazione ideologica e una pratica. La prima è legata alla mia convinzione che il cinema si fa con gli attori, credo nei mestieri, se no si faceva un documentario. La seconda è che non me la sentivo di chiedere a chi ha difficoltà a vivere di mettere in scena se stesso; non mi piace, sarebbe stato uno sguardo da entomologo, e credo che non sarebbe stato nemmeno produttivo. Gli attori che ho scelto sono stati bravissimi e hanno funzionato.

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30 Ottobre 2008

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