VENEZIA – “Condannatemi pure. Sarà la storia che mi assolverà”. Sono le parole che il giovane avvocato Fidel Castro, processato nel 1953 per il fallito attacco alla Caserma Moncada di Santiago de Cuba, pronuncia a sua difesa. Sei anni dopo, l’8 gennaio 1959, Castro avrebbe conquistato l’Avana mettendo fine al regime di Fulgencio Batista.
Oggi, cinquant’anni esatti dopo, Giuliano Montaldo ci porta a spasso per quella rivoluzione e ciò che ne è rimasto, in una sorta di visita guidata al paese dove resiste l’ultimo muro post-Guerra Fredda, il muro de agua. L’oro di Cuba è un racconto partecipe e commosso, affidato alle voci dei cubani che amano il proprio paese e hanno deciso di restare, nonostante tutte le difficoltà e le limitazioni. Non i cubani dissidenti (vedi il blog di Yoanni Sanchez Generation Y, da poco anche in italiano) o quelli della diaspora, dunque. Ma quelli che alla domanda posta da Fidel – è recentemente riapparso in televisione, dopo una lunghissima assenza – continuano a rispondere affermativamente. Atleti e cineasti, musicisti e scienziati, anche la figlia di Raúl Castro, Mariela, sessuologa e scrittrice, intervistati dal regista di Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno in un documentario prodotto da Rai Cinema e Fidia Film, che passa a Venezia fuori concorso e quindi sarà in vendita in Dvd dal 14 ottobre con 01 Distribution.
“L’oro di Cuba” nasce in occasione dell’anniversario della rivoluzione.
L’idea è di Franco Scaglia, che mi ha sostituito alla presidenza di Rai Cinema. In un momento di transizione, con grandi mutamenti all’orizzonte, volevamo raccontare questi cinquant’anni con le tensioni, i patimenti, le sofferenze di quelli che sono rimasti nonostante potessero andare fuori: musicisti, atleti, cantanti, attori. Cuba è un paese di grandi contraddizioni, che non si possono ignorare ma che è sicuramente difficile raccontare. Però è anche l’unico paese dove la rivoluzione regge ancora. La medicina, lo sport, la musica, la cultura, la ricerca, la creatività, l’istruzione sono conquiste innegabili di questi cinquant’anni.
Ha incontrato Raúl Castro durante il suo soggiorno?
L’ho incontrato ma ho scelto di lasciare fuori i vertici della politica e l’unica testimonianza della famiglia Castro è quella della figlia, che ha posizioni piuttosto dubitative.
Non era mai stato a Cuba prima d’ora?
Purtroppo no, per due volte sono stato invitato alla Scuola di Cinema ma all’ultimo non ho potuto. Però altri cineasti, come Gillo Pontecorvo o Ettore Scola, mi raccontavano di questo Davide che resiste a Golia e avevo voglia di vedere con i miei occhi. Effettivamente quando il cielo è limpido, si vede Miami. È un popolo lontano da Dio e vicino all’America.
Non ha mostrato il dilagante turismo sessuale, la corsa con ogni mezzo al peso convertible, la preziosa valuta per stranieri che vale 24 volte il peso locale.
Già, i veri corruttori di Cuba sono i turisti, ma è difficile mostrare questo aspetto, perché i cubani coinvolti non vogliono esporsi e con gli stranieri rischi una denuncia. Quando il turismo sarà più sano, le cose cambieranno.
Pensa che un cambio sia imminente, magari con l’uscita definitiva di scena di Fidel e con la nuova presidenza Usa?
Tutti aspettano un miracolo da Obama, ma per ora l’embargo continua. Oggi i cubani hanno rotto con la Russia, che li ha usati in passato in maniera spietata, e possono contare solo su Chavez e sui cinesi.
Avete trovato molto materiale d’archivio straordinario, anche sugli anni ’50, quando l’Avana era una specie di Las Vegas caraibica.
Il merito va alla montatrice, Simona Paggi. Quel materiale racconta da solo molte cose. Mi ha soprattutto sconvolto il numero di attentati che hanno subìto, le vittime della Baia dei Porci, la storia dei cinque di Miami, arrestati nel ’98 con l’accusa di cospirazione e spionaggio ai danni di installazioni militari Usa e ancora detenuti. Sarebbe un bel colpo se Obama oggi li liberasse.
A Venezia c’è anche un misterioso film della retrospettiva, “Nudi per vivere”, firmato da Elio Montesti che la riguarda.
Sì, dietro quello pseudonimo si nascondono Elio Petri, Giulio Questi e il sottoscritto. È un documentario del ’64 sulla vita notturna di Parigi e soprattutto sulle spogliarelliste. Sono immagini rubate. Venne bloccato subito dalla censura, al secondo giorno di programmazione, e quasi nessuno l’ha visto. Spero che non deluda, io lo considero una monelleria.
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