Una capricciosa diva dei telefoni bianchi travolta dall’inarrestabile ondata neorealista. E’ Anna Monti, protagonista di A luci spente di Maurizio Ponzi, film presentato a Genova, nella vetrina Pronti, quasi pronti, al nastro di partenza. La interpreta una Giuliana De Sio all’apice, parole sue, “delle potenzialità espressive”.
Nella Roma del 1943, mentre il cinema italiano si è trasferito a Venezia al seguito della Repubblica di Salò, il regista antifascista Giovanni Forti (Giulio Scarpati), gira Redenzione, un film voluto dal Vaticano. Anna Monti copre il ruolo di una nobildonna che si trasforma in crocerossina.
“Il set è quello di una pellicola convenzionale spiega Maurizio Ponzi, ma tutti i protagonisti sono influenzati dai tragici eventi che li circondano e cambiano”.
Il film, prodotto da Giuseppe Di Palma per Cinemart, uscirà in autunno distribuito da Sharada.
Ponzi l’ha diretta ben 7 volte.
Con Maurizio ho girato Io, Chiara e lo Scuro, il film che mi ha lanciato. Insieme abbiamo percorso tutti i generi: dalla commedia al teatro di Ibsen, alla fiction televisiva, Il bello delle donne, fino ad A luci spente, film dall’impianto storico/sociale.
Chi è Anna Monti?
E’ un’attrice 40enne, capricciosa, ossessionata dall’immagine e dalla perdita del successo. Su set vive un forte conflitto con il regista, un intellettuale inquieto che sente nell’aria il cambiamento nel modo di raccontare che porterà al neorealismo. E’ stanco di leziosità e conformismo, lei è spiazzata perché più che sul suo volto la macchina da presa si sofferma su quello delle comparse. Ma è intelligente e coraggiosa: capisce che per sopravvivere deve liberarsi degli orpelli. In una scena chiave esce dal set e si destruttura completamente: elimina belletti e ciglia finte per mostrarsi come è veramente. Il cambiamento professionale s’accompagna a quello sentimentale. Ha una storia d’amore con un partigiano interpretato da Filippo Nigro. Lui è infiammato da ideali e passioni, la usa per proteggersi e alla fine la lascia.
Che cosa ha ripreso dal cinema dei telefoni bianchi?
Ho attinto dalla memoria inconscia e ho cercato di rendere la recitazione prevalente all’epoca: in verità era più asciutta e nervosa di quanto ci si potrebbe aspettare. Certo, non mancavano gli eccessi retorici nelle sequenze più drammatiche. Li abbiamo ripresi in una scena d’amore tra me e Andrea Di Stefano, protagonista di Redenzione. Lui è una sorta di Amedeo Nazzari, narciso sempre in cerca del primo piano.
A quali attrici ha fatto riferimento?
A nessuna in particolare, ma non posso dimenticare Clara Calamai, attrice capace di passare dal cinema dei telefoni bianchi a Visconti. Tuttavia le sue prime interpretazioni erano tutt’altro che emozionanti. Il problema non era la sua recitazione ma i copioni.
Come ha vissuto l’esperienza del film nel film?
L’ho affrontato per la prima volta e per un’attrice non c’è niente di più masturbatorio. E’ stato divertente lavorare su un doppio set, tra la troupe finta e quella vera, tra il carrello d’epoca e quello moderno.
Il cinema è avaro di ruoli nei suoi confronti?
Sì. Mi salva il teatro a cui quest’anno ho dedicato 7 mesi. Cerco ruoli ben scritti e ricchi di humour, una chiave che ho scoperto da poco e a cui non voglio rinunciare.
Prossimi impegni?
La prossima stagione farò 2 fiction per Mediaset.
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