“Se volete ho i numeri di Scamarcio e della Bellucci”. Inizio sciolto al Liceo Convitto nazionale di Roma per il regista Giovanni Veronesi che sa di avere dalla sua gli studenti grazie al successo in sala dei suoi Manuale d’amore 1 e 2. Nell’incontro di Aspettando la Festa – manifestazione curata da Alice nella città in collaborazione con il Comune di Roma e ‘Ciak’ – e coordinato da Piera Detassis, Veronesi ricorre a un episodio di vita vissuta per spiegare ai giovani perché ama girare e scrivere commedie per Pieraccioni, Ceccherini e Nuti, dopo l’esordio, a suo dire infelice, come attore 25 anni fa in Una gita scolastica di Pupi Avati.
Il regista racconta di una serata con amici e il loro figlio down Alessandro mentre la tv trasmette le terribili immagini dei massacri in Rwanda. Spento il televisore si parla anche di vacanze e alla fatidica domanda “Dove le farete?”, il ragazzo down risponde “In Rwanda”. Sconcerto tra gli ospiti, ma poi la risposta si spiega con il fatto che Alessandro ha visto oltre la tragedia e ha preferito il suggestivo paesaggio africano. “Da allora mi sono dichiarato down perché voglio vedere la vita da quel punto di vista”.
Il suo prossimo film, Italians, avrà quel sottotitolo annunciato: “Gli italiani sono il popolo che suona di più… al metal detector”?
Sì, l’ho ‘copiato’ da una statistica riportata dal quotidiano francese ‘Le Monde’. Effettivamente dopo aver letto questo articolo, ogni volta che capito in un aeroporto vedo che gli italiani sono quelli che più si fan notare, perché il sistema d’allarme suona subito al loro passaggio. Sembra che abbiano sempre addosso degli oggetti metallici immediatamente segnalati, come se fossero carichi di ferro. O forse il metal detector rileva solo il fatto che gli italiani all’estero si fanno sempre notare. Nel film c’è una scena proprio con Verdone che è costretto a spogliarsi perché il metal detector suona ininterrottamente, e rischia così di perdere l’aereo.
Chi sono questi ‘Italians’?
Nuovi emigranti che diventano imprenditori in Russia o negli Emirati Arabi e che sono così differenti da quegli italiani che partivano con la valigia di cartone, chiusa con lo spago. I nuovi emigranti sanno dove vanno e che cosa faranno. Sono spesso i soliti cialtroni e vigliacchi alle prese con le loro certezze messe a dura prova nel confronto con un’altra società, come quella islamica.
Oltre all’episodio con Castellitto e Scamarcio che portano delle Ferrari rubate negli Emirati Arabi, c’è quello russo con protagonisti Carlo Verdone, Ksenia Rappoport e Dario Bandiera.
E’ la storia di un italiano che solo in una realtà così diversa come la città di San Pietroburgo capisce quello che ha lasciato dietro di sé ed è contento di averlo lasciato. Non vuole tornare, vuole solo raccontare la sua Italia, perché la maggior parte degli italiani all’estero quando parla del loro paese racconta un’Italia che non esiste, che è molto più bella di quella reale, un’Italia romantica che non c’è.
Perché la Russia?
Volevo anche raccontare questa nazione piena di mafiosi che la fanno da padroni, questa nuova frontiera dove gli italiani qualche anno fa arrivavano per speculare, per tentare il colpaccio. Oggi a San Pietroburgo ci rappresentano le auto, la moda, il cibo e il caffè, ma nessuno ricorda che la città è stata costruita e progettata da architetti italiani.
“Italians” è dunque una tragicommedia?
Una commedia dove si ride di meno rispetto ad altri miei film precedenti e ci si commuove di più, forse perché la lontananza dal proprio paese rende le persone più nostalgiche.
E dopo “Italians”?
Sapendo che Manuale d’amore è un logo che rimane nel tempo, che non invecchia mai, il mio prossimo film riguarderà la famiglia. E’ la storia di un ragazzino genio che nasce in una famiglia normale. Al centro vi è questo rapporto tra una persona anormale, comunque emarginata, e i suoi genitori che non sanno come educarlo. Racconto di nuovo i sentimenti e forse anche questa pellicola potrebbe essere allora un Manuale d’amore. Così sto raccogliendo del materiale su questi ragazzini geni, come e dove vivono, soprattutto in quali parti del mondo nascono, anche perché da noi ce ne sono pochi.
Perché ha scelto come film del cuore, da proiettare qui al liceo, “Il grande dittatore”?
Il film comico viene purtroppo spesso ritenuta un’opera leggera, senza profondità nella sua drammaturgia. Ho scelto un film realizzato da un comico vero e puro come Charlot che realizza una satira feroce di un periodo storico così drammatico come la dittatura nazista. E’ un film senza nazionalità ed è stato un atto di coraggio realizzarlo nel 1940. Potevo scegliere forse La vita è bella, ma in questo caso primo Chaplin, secondo Benigni. Non credo che si arrabbierà Roberto.
Per il cinema cosa chiederebbe al futuro governo?
Ho perso le speranze di chiedere ai governi qualcosa per la cultura, perché sia che siano di destra o di sinistra non gliene importa proprio nulla. Stanziano talmente tanto poco per la cultura ed il cinema, che ne è una fetta, alla fine riceve delle briciole e queste briciole sono spartite male. Quindi non chiedo niente, fate come vi pare e intanto noi registi cercheremo di fare del nostro.
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