Il regista Giovanni Soldati e suo fratello Volfango hanno dato vita a un comitato di celebrazioni per il centenario della nascita (Torino, 17 novembre 1906) dell’indimenticabile papà Mario Soldati. Il geniale, vulcanico e prolifico romanziere, saggista, commediografo, regista, sceneggiatore, giornalista, autore e conduttore tv, attore, critico d’arte, esploratore della civiltà contadina e culinaria rivelatosi il grande descrittore della storia della cultura italiana del ‘900.
Il progetto celebrativo prevede un vasto programma di iniziative fra Torino e Roma (con estensioni in altre località d’Italia e negli Usa), e lungo cinque settori-cardine del percorso intellettuale dell’artista: letteratura, cinema, televisione, scuola, civiltà del gusto e del territorio. Il cuore delle celebrazioni romane del Soldati scrittore sarà – a partire da settembre, con convegni e mostre – la Casa delle Letterature; a novembre invece RomaFilmFestival in collaborazione con la Cineteca Nazionale e il Museo Nazionale del Cinema di Torino celebreranno il Mario Soldati regista dedicandogli una retrospettiva e una serata di gala con la copia restaurata di Fuga in Francia con Pietro Germi, pubblicando un volume critico-documentario e allestendo due mostre fotografiche, mentre a dicembre sarà la Casa del Cinema di Roma ad ospitare un seminario-convegno di tre giorni sulla figura di Soldati cineasta.
Da 25 anni compagno di Stefania Sandrelli, da lui diretta nella trasposizione per il cinema del romanzo paterno “La sposa americana” (oltre che in quella de “L’attenzione” di Moravia), Giovanni Soldati racconta così la propria scelta di dedicarsi al cinema: “Mio padre all’inizio era scettico, ma poi fu molto contento della mia trasposizione per la Rai dei suoi ‘Racconti del maresciallo’ con Arnoldo Foà protagonista. E’ stato lui a trasmettermi la passione per il mio lavoro”.
Come è accaduto?
Quando avevo 16 anni lo accompagnai a registrare alla Rai di Genova la presentazione di un ciclo su Buster Keaton da lui curato che mi fece scoprire il fascino e la grandezza del saper far ridere e piangere contemporaneamente. Mio padre credeva, come Lubitsch, nella cinepresa immobile e mi ha insegnato l’Abc di un mestiere che ho poi continuato ad imparare e ad amare grazie a Bernardo Bertolucci, di cui sono stato a lungo “aiuto”. Mario diceva sempre di avere compiuto un percorso opposto a quello di Pasolini, essendo lui partito dalla letteratura per approdare poi al cinema e tornare infine alla letteratura.
Che cos’altro le ha insegnato?
Tutto, anche e soprattutto inconsapevolmente, bastava essergli accanto per essere contagiati dal suo entusiasmo e dalla sua vitalità frenetica. Mi ha trasmesso non solo l’amore per il cibo, il vino ed i sigari ma soprattutto quello per la vita.
Natalia Ginzburg scrisse che “tra gli scrittori del Novecento italiano, Soldati è l’unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere che non rifugge nulla e nessuno: contempla l’universo e lo esplora in ogni sua miseria, e lo assolve”.
E’ vero, e lui stesso nel ’57 sul set del suo Era di venerdi 17 scrisse un auto-epitaffio (“Amò troppo la pace per credere di meritarla, e strenuamente la fuggì. Ora è contento!”) che contiene l’essenza politica, culturale e sociale della sua filosofia: non si può parlare di amore sacro se non c’è quello profano, del giorno senza considerare la notte o del bene senza il male e così via.
Quali sono i suoi ricordi più vivi di un uomo così eccentrico, imprevedibile e fuori da ogni convenzione?
Fuori dal tempo, direi: si vestiva sempre, fino all’ultimo, come un uomo dell’800, con orpelli ormai inconsueti come il papillon ed il panciotto. I ricordi sono innumerevoli, il suo amico Ennio Flaiano diceva di lui “vive la sua vita come se stesse scrivendo la propria autobiografia”. Ricordo l’autorappresentazione compiaciuta ma anche la severità burbera temperata dal sorriso, il rito del barbiere sul terrazzo di casa, l’odio nel ricevere la posta a domicilio, le ore della giornata in cui sembrava sempre divagare altrove anziché scrivere, fino a quando nel pomeriggio finalmente si sedeva e andava avanti dritto filato come un treno.
Cosa penserebbe oggi suo padre delle vicende penose della sua amatissima Juventus?
Ne soffrirebbe moltissimo: da tifoso accanito quale era spererebbe che il verdetto della giustizia sia il più indolore possibile, ma da sportivo ferito con il forte senso etico che lo distingueva si augurerebbe di vederla sprofondare in serie zeta.. Ricordo con grande nostalgia le tante partite della nostra squadra a cui abbiamo assistito al Comunale di Torino insieme all’Avvocato Agnelli. Mio padre era amico di suo padre Edoardo – che gli fece avere una borsa di studio per il suo viaggio in America alla fine degli anni ’20 – e l’Avvocato provava per lui grande affetto, simpatia e rispetto.
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